21 dicembre 2015 17:22

È tempo di classifiche. Il migliore libro del giorno, del mese, dell’anno, del secolo, del millennio. Ed ecco che, come ogni anno, arriva puntuale la bulimia da liste. Mi divoro tutto. I migliori del New York Times sono quasi un rito religioso. Spulcio quella lista con la stessa avidità con cui Paperon de’ Paperoni custodisce la sua numero Uno. Ma non c’è solo il New York Times. C’è El País, Le Monde, il New Yorker, Libération, Pagina 12, la Frankfurter Allgemeine Zeitung. C’è l’America Latina, l’Africa, l’Asia, l’Oceania. Tutti con le loro liste belle pronte.

A tutti – quotidiani, settimanali, mensili – piace la classifica. E a tutti noi che leggiamo piace discuterne un po’. “Ma hanno messo questo libro? Che esagerati!”, “Di nuovo questo autore, non sono d’accordo”, “Che bravi! È una scrittrice che merita”, “Davvero in classifica solo uomini? Sono furiosa!”. Ed ecco che una volta all’anno (finalmente!) anche la letteratura è discussa come se fosse uno partita di Champions league.

La classifica, per chi la fa, diventa un momento per dimostrare tutta la propria creatività, tutta la curiosità che si possiede. Le classifiche diventano di volta in volta creative, austere, pragmatiche o fonte per la polemica di fine anno.

La classifica che perversione!

Cosa sarebbe uno scrittore o un poeta senza l’altra metà che legge?

Anche le scrittrici e gli scrittori fanno un loro bilancio a fine anno. Una piccola classifica personale da suggerire agli amici o al pubblico di riferimento. Ed ecco che citiamo come dei dannati il libro che ci ha straziato il cuore e che vorremmo tutti leggessero. Siamo lì sui social network con i nostri hashtag e le nostre citazioni piene di emoticon, vogliosi di convincere anche chi non ha mail letto nemmeno l’elenco telefonico. A fine anno lo scrittore si scopre lettore come non mai.

Io e la mia amica Nadia Terranova (autrice del bellissimo Gli anni al contrario) quest’anno abbiamo avuto lo stesso colpo di fulmine. Ci siamo innamorate definitivamente e fatalmente di un libro e del suo autore. Cees Nooteboom, olandese, classe 1933, è diventato l’uomo dei nostri sogni. E il suo Tumbas. Tombe di poeti e pensatori (Iperborea) un libro che definire immenso è troppo poco.

Mentre ci confrontavamo sulla stessa passione io e Nadia eravamo catapultate in un locale stile Ddr vicino a casa. Ed è davanti a una Trabant che ci siamo confessate l’amore per un libro, quello di Nooteebom, destinato a diventare un classico. Lo scrittore olandese ha visitato, in trent’anni di vita, le tombe dei grandi scrittori e filosofi che lo hanno segnato. Da Keats a Susan Sontag, da Cortázar a Borges il suo viaggio apre finestre sulla magia folgorante della letteratura. A un certo punto Nooteboom, a pagina 127, dice: “A volte i lettori fanno cose strane”. Ed è lì che ho capito che in tutta questa bulimia di classifiche forse manca quella essenziale, quella del lettore dell’anno.

Cosa sarebbe uno scrittore o un poeta senza l’altra metà che legge?

“Il poeta è morto”, scrive Nooteboom, e poi aggiunge: “I poeti continuano a parlare. A volte si ripetono. Succede ogni volta che qualcuno legge o recita una poesia per la seconda o per la centesima volta. Parlano anche ai non nati, a chi non viveva ancora quando hanno scritto quello che hanno scritto”.

Allora aveva proprio ragione Paco Ignacio Taibo II quando diceva che leggere è un atto rivoluzionario.

Allora forse la classifica da fare, la palma d’oro da assegnare, è al lettore e non allo scrittore

Anche per Nadia Terranova è così: “Il tempo della lettura è lento”, mi dice, “è uno spazio che ti devi ritagliare in mezzo alle nuove tecnologie”. Siamo più distratti ora, è vero. Troppe sollecitazioni, troppe immagini pixelate che ci seducono a volte con il nulla. Ma nonostante tutto, nonostante questo mondo veloce intorno a noi, c’è chi quello spazio di cui parla Nadia Terranova se lo ritaglia ancora.

Allora forse la classifica da fare, la palma d’oro da assegnare, è al lettore e non allo scrittore.

Ne conosco parecchi di lettori. Uno più straordinario dell’altro, uno più matto dell’altro.

Ci sono account twitter di lettori consorziati che rendono il web una immensa biblioteca. Penso a @CasaLettori @GiuliaCiarapix @tempoxme_libri che a furia di citazioni ci spingono a leggere o rileggere un testo. Trasudano amore per quest’arte, la letteratura, che molti danno per morta, ma che loro resuscitano attraverso il loro vivere quotidiano. Ultimamente mi sono infiammata (di vero amore, mica quisquilie) del blog Parla della Russia.

Il nome del blog viene dalla famosa battuta di Woody Allen: “Ho fatto un corso di lettura veloce, ho imparato a leggere a piombo, trasversalmente la pagina, e ho potuto leggere Guerra e pace in venti minuti. Parlava della Russia”. Parlare della Russia quindi significa semplicemente parlare di libri.

Maestri della stroncatura

Loro si presentano al mondo come un gruppo di anarchici, “maestri della stroncatura, anche se non mancano tra di noi cuori teneri e lacrimucce facili”. Una setta segreta che legge sia libri di carta sia ebook. Non vivono di libri, li leggono solo. Non ci sono editori, scrittori, poeti tra loro. Forse qualcuno di loro coltiverà la passione segretamente, chissà. Ma si presentano al mondo come lettori orgogliosi di essere quei superlettori, quei “panda” di cui parla il sistema letterario.

Scorro le loro biografie, i nickname, le loro occupazioni, le loro passioni. Ed ecco Zaide Noll – archeologa preistorica, convinta evoluzionista, militante multiculturalista; Agata (e la tempesta)– che prende il nome dal suo film preferito dove Agata è una libraia che incontra, tra gli scaffali, l’uomo della sua vita; Nenenabou – che mangia crackers a colazione, zuppa di miso a pranzo e non beve più alcolici da quando ha scoperto che può fare di più e di meglio senza; Tatiana Larina russa per vocazione, dedica ogni minuto libero a leggere qualsiasi cosa le passi a vista da arabi, persiani e indiani a scandinavi e russi; p@p accaparratrice compulsiva di libri, vive in compagnia di 56 metri lineari di volumi e un kindle ben imbottito.

Le loro biografie sono spaziali! Mi piacciono un sacco, penso.

Parlare di libri è peggio che parlare di politica. I marxisti e i leninisti non sono nulla al confronto di dickensiani o proustiani

Una di loro, Enza Spinapolice, la conosco da anni. Enza fino a pochi mesi fa era un cervello in fuga, anzi un cervello errante. Un’archeologa del paleolitico che l’Italia non sapeva utilizzare. Vivevo le sue peripezie tramite i social network. E la vedevo salticchiare da una parte all’altra della nostra sgangherata Europa come una cavalletta instancabile. Poi, pochi mesi fa, Enza mi dice: “Sai, torno a Roma con mio figlio Flavio”, e da Cambridge me la ritrovo vicina di casa. Con Enza parliamo sempre di libri e multiculturalità. E tramite lei ho conosciuto i “russi” del blog.

Enza è stata una lettrice precoce. “Già leggevo a tre anni”. È rimasta negli annali della storia famigliare l’immagine di lei decenne sulla spiaggia con il tomo Einaudi di Guerra e pace. “Ricordo”, mi dice Enza “che una signora si è avvicinata a mia madre e le ha detto: ‘Ma è vero?’”.

Forse non tutti i “russi” hanno letto Tolstoj a dieci anni, ma si sono messi insieme per la voglia di condividere una passione e di non essere soli. “Quando andavo a scuola eravamo solo due in classe così, gli altri non leggevano nulla, nemmeno quello che era previsto dal programma”. Quindi la molla principale di questo blog-agorà è stata proprio la voglia di incontrare persone simili e con gli stessi interessi.

I “russi” però sono simili fino a un certo punto. Ognuno ha le sue fisse, le sue preferenze, i suoi odi conclamati. Parlare di libri è quasi peggio che parlare di politica. I marxisti, i leninisti non sono nulla al confronto di dickensiani o proustiani. Le opinioni divergono enormemente. “Siamo pericolosi”, sogghigna Enza, “perchè diciamo quello che pensiamo”.

Ci sono autori come Nicola Lagioia con le sue atmosfere crepuscolari molto vivide e Eleanor Catton, autrice del bellissimo I luminari, che sono stati amati enormemente. Ma non sono mancate le stroncature. Per esempio I lanciafiamme di Rachel Kushner (”spacciato per un capolavoro”, dice irata Enza) ha deluso un po’ tutti. Su certi autori, poi, ci si accapiglia. Elena Ferrante, per esempio, ha aperto un grosso dibattito. C’è chi non la legge a priori perché la trova troppo commerciale, mentre per altri è artefatta come Donna Tartt (non molto amata dai russi), troppo costruita a tavolino. Però c’è anche chi le dichiara amore eterno come Polimena, che trova i suo libri freschi e coinvolgenti. Anche Sottomissione di Houellebecq o l’opera omnia di Murakami creano delle vere guerre. E ci si fa male a suon di recensioni.

Non hanno frontiere i veri lettori, ma non vogliono essere presi in giro

“Noi rivendichiamo la scelta”, mi spiega Enza.

E nella scelta non c’è sempre la letteratura cosiddetta alta, ma anche quella di cassetta, che adorano perché è uno scacciapensieri pazzesco.

“Noi donne intellettuali ci spariamo dosi massicce di Diana Gabaldon, per esempio”, continua Enza Spinapolice.

Diana Gabaldon è la biologa marina americana che ha scritto Outlander, una serie di libri (poi diventata serie tv) su Claire Randall, infermiera durante la prima guerra mondiale che viene catapultata nel 1700.

“C’è di tutto nella Gabaldon. Avventura ed erotismo. Ci diverte molto, soprattutto quelle scene di sesso improbabili che durano venti pagine”.

I “russi” leggono di tutto. E ogni volta sono consapevoli di quello che leggono. Non amano che qualcuno spacci per grande letteratura qualcosa che non lo è. E quando leggono la letteratura di cassetta hanno ben presente che si tratta di testi leggeri. Non hanno frontiere i veri lettori, ma non vogliono essere presi in giro. Se no la stroncatura (con conseguente abbandono dell’autore) è dietro l’angolo. Sono loro, di fatto, i grandi lettori che reggono il mercato librario. “Spendiamo molto in libri”, mi dice Enza Spinapolice, “ma ci prestiamo anche molte cose”. I libri viaggiano, penso, e lo trovo meraviglioso.

Trovo un’altra frase significativa in Tumbas di Cees Nooteboom (ogni frase sarebbe da incorniciare in questo libro): “Chi siano i suoi lettori non lo sappiamo. ‘Una gigantesca minoranza’ ha detto Juan Ramon Jiménez, e perché no?”.

Ecco, i lettori sono una gigantesca minoranza che tiene in piedi l’unica vera rivoluzione che siamo riusciti a conservare.

Prima di mettere giù la cornetta del telefono domando a Enza un’ultima suggestione. “Esiste il libro perfetto?”, le chiedo. E lei con leggerezza: “Certo che esiste. Il libro perfetto è quello che ti fa saltare la fermata”.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it