10 aprile 2011 10:00

“Cosa c’è in un nome?” si chiedeva Shakespeare. Marisela ha scelto di combattere il crimine solo con l’arma della ragione. Un’altra Marisela ha scelto di farlo attraverso il sistema giudiziario. Le loro biografie appartengono a due paesi diversi, ma stranamente entrambi si chiamano Messico. L’8 marzo, giorno della festa internazionale delle donne, Marisela Morales Ibáñez, viceprocuratrice per le inchieste speciali sul crimine organizzato, ha ricevuto a Washington il premio International women of courage 2011.

Hillary Clinton ha sottolineato la determinazione della procuratrice messicana nella lotta contro la violenza. Quando un funzionario pubblico riceve un premio, il riconoscimento va anche al suo governo. Premiando Marisela Morales, gli Stati Uniti hanno mandato un segnale distensivo al Messico dopo le critiche del presidente Felipe Calderón all’ambasciatore statunitense.

Il premio alla viceprocuratrice rientra nella schizofrenia tipica dei rapporti tra il Messico e il massimo consumatore di droghe del mondo. Il nostro rapporto con gli Stati Uniti non è bilaterale, è bipolare. Le buone intenzioni di Hillary Clinton sono in contraddizione con le trame dell’agenzia statunitense per il controllo di alcol, tabacco e armi da fuoco. Per seguire la pista del traffico clandestino di armi, l’agenzia ha lanciato l’operazione Fast and furious. Ci manca solo che progetti dei proiettili con microchip per rintracciare i messicani uccisi grazie allo spionaggio statunitense.

Il premio obbliga anche a ricordare un’altra Marisela, una donna che si è opposta alla violenza senza essere pagata per farlo e senza una scorta. E che è stata uccisa il 16 dicembre del 2010 davanti al palazzo del governo dello stato di Chihuahua. Di fronte all’inerzia delle autorità, Marisela Escobedo aveva deciso di fare delle ricerche sulla morte di sua figlia Rubí Marisol Frayre, di 16 anni, avvenuta a Ciudad Juárez.

Aveva scoperto così che a ucciderla era stato il suo compagno, Sergio Barraza. L’aveva rintracciato a Fresnillo ed era riuscita a farlo arrestare. Barraza ha ammesso di aver squartato la vittima e ha indicato dove aveva gettato i resti. Ma anche se si trattava di un crimine feroce, è stato assolto per un errore procedurale. La giustizia messicana è inefficiente sia quando arresta sia quando rilascia.

Marisela ha protestato davanti al palazzo di governo di Chihuahua e ha deciso di non muoversi da lì. Le hanno sparato in testa di fronte alle telecamere di “sicurezza”. Poco dopo la falegnameria di Jorge Monge Amparán, il suo compagno, è andata a fuoco, e Manuel, fratello di Jorge, è stato ucciso. Con velocità sospetta, il pubblico ministero ha scoperto che Jorge non era più il compagno di Marisela al momento dell’incendio e ha concluso che i due casi non erano collegati. Marisela Escobedo è stata sacrificata alle porte della legge. Il suo assassino è libero, protetto dalla criminalità organizzata. Sarebbe un atto di giustizia speciale se la premiata Marisela Morales contribuisse al suo arresto.

Contraddizioni

Non si può mettere in discussione l’integrità di una persona che ha dedicato la sua vita a lottare contro la criminalità. Ma anche la carriera professionale di Marisela Morales riflette le contraddizioni del sistema giudiziario messicano. Nessuno in questo caos è immune dalle accuse, più o meno fondate.

Nel 2005 è stato avviato un procedimento contro di lei per presunta falsificazione di prove e per un reato contro la pubblica amministrazione. Benjamín Cuauhtémoc Sánchez Magallán, ex coordinatore dell’unità speciale per la criminalità organizzata, l’ha accusata di aver contraffatto 27 prove nell’inchiesta sull’omicidio del cardinale Posadas.

Una delle cose più discusse della carriera di Marisela Morales è aver contribuito al procedimento per impedire al candidato della sinistra Andrés Manuel López Obrador di presentarsi alle presidenziali, accusandolo di aver fatto costruire un accesso a un ospedale senza i permessi necessari. Il caso, che aveva un chiaro interesse politico, è stato orchestrato dall’allora presidente Vicente Fox per mettere in difficoltà il suo avversario. La strategia è stata abbandonata quando si è capito che il linciaggio contro López Obrador serviva solo ad aumentare la sua popolarità.

Anche l’arresto dei presunti responsabili delle granate lanciate contro la folla a Morelia, il 16 settembre del 2008, ha fatto discutere. I familiari dicono che gli accusati si trovavano a Ciudad Lázaro Cárdenas al momento dell’esplosione. La viceprocuratrice ha spiegato che l’arresto è stato possibile “grazie a una telefonata anonima”, una linea di difesa che potrebbe essere convincente solo in presenza di altre prove inconfutabili.

Premiando Marisela Morales gli Stati Uniti hanno voluto sostenere un paese in cui è in corso un bagno di sangue. Tra le sfide della viceprocuratrice c’è quella di arrestare l’assassino di una donna che portava il suo stesso nome, una donna che ha lottato contro la violenza lontano dalle auto blindate, in una terra desolata, in un luogo dimenticato e normale, la patria dell’altra Marisela: il Messico.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 892, 8 aprile 2011*

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