09 ottobre 2011 10:00

Come raccontare la violenza? Nel 1959, dopo che la Colombia aveva passato dieci anni a contare trecentomila cadaveri, Gabriel García Márquez fece una riflessione: i romanzi su quest’argomento erano tutti brutti. Il problema era la riproduzione meccanica dell’orrore: “L’inventario esaustivo di uomini decapitati, castrati, sventrati, di donne stuprate, di cervelli fatti saltare per aria, la minuziosa descrizione della crudeltà con cui sono stati commessi questi crimini non erano probabilmente la chiave per un romanzo”. La lezione da imparare era che il terrore più profondo è sempre quello mentale.

Gerardo Naranjo l’ha capito alla perfezione. Fin dal suo primo film Drama/Mex ha dimostrato di saper creare intense situazioni narrative in spazi ridotti e con il minimo indispensabile. Anche se la sua opera prima aveva una trama un po’ sconnessa e dei dialoghi che per essere “naturali” ricalcavano le esitazioni del linguaggio colloquiale, il suo sguardo era unico. In Miss Bala (Miss pallottola), Naranjo costruisce una storia di impeccabile rigore per ricreare il violento clima messicano. L’aspetto più significativo della sua estetica è la comprensione della dimensione psicologica della paura. In un periodo in cui il sangue cola dai giornali, Miss Bala affronta un tema inesplorato: la vita segreta del panico, il modo in cui la criminalità invade la quotidianità e logora mentalmente persone estranee a quell’ambiente. Su insistenza di un’amica, la protagonista del film si presenta a un concorso di bellezza. Non ne ha voglia, ma accetta con la rassegnazione con cui accettiamo tante proposte degli amici.

Chi potrebbe dire che commette un errore? Dopo essersi iscritta al concorso si trova con alcuni conoscenti dell’amica che stanno bevendo un drink. L’ambiente, tra il poliziesco e il depravato (purtroppo i due termini possono essere sinonimi), fa capire alla protagonista che questo sì è stato un errore. Si comporta come se niente fosse: dato che si trova lì, decide di rimanere per un po’ e poi andarsene. Ma ha superato un confine decisivo, la linea d’ombra, il punto di non ritorno. Non racconterò una trama che si basa sulla suspense. Basti sapere che c’è una sparatoria e l’involontaria aspirante reginetta di bellezza cade in una rete del crimine organizzato.

Miss Bala riflette una realtà in cui aprire la porta sbagliata può cambiare il destino per sempre. Non è un caso che Naranjo abbia ambientato il suo film alla frontiera. La storia parla proprio del passaggio da una realtà all’altra. La vita privata della protagonista è invasa dal crimine. Quest’invasione rende la situazione ancora più allarmante: a poco a poco l’orrore diventa un’altra forma della quotidianità (mentre alcuni furgoni si affrontano in una sparatoria, l’attività di un distributore di benzina lì vicino prosegue come se nulla fosse). La violenza non è l’eccezione. Tremando più che alla vista di un cadavere, capiamo che la violenza è la regola. Naranjo non veste i suoi personaggi con camicie di Versace e non gli fa ascoltare narcocorridos. Lontano da ogni folclore, racconta qualcosa di più grave: la normalità del male.

Nel suo testo sulla narrativa della violenza, García Márquez osserva che la descrizione della morte non provoca così tanta emozione come l’effetto, contraddittorio e molteplice, che la paura della morte può avere sui vivi: “Il romanzo non era da cercare nei morti sventrati, ma nei vivi che probabilmente avranno sudato freddo nei loro nascondigli, sapendo che a ogni battito del cuore rischiavano di essere sventrati”. È questa la prospettiva che sceglie Naranjo. La sua storia avanza al ritmo cardiaco della vita minacciata. Anche la colonna sonora è ben pensata. Naranjo non ricorre alle ovvie citazioni della musica tradizionale e anche i suoni arrivano con una naturalezza frantumata.

La vertigine della persecuzione e il tono paranoico del film si avvicinano alla serie televisiva 24. Dietro ogni porta c’è qualcuno in agguato. Tutti i personaggi sono visti dall’esterno (quando c’è da salvare la pelle importa poco quello che dici). Forse il momento di maggiore introspezione riguarda un narcotrafficante, quando esprime meglio la sua virilità con le pallottole che non con il suo corpo. I cattivi di Naranjo (siano uomini in divisa o narcotrafficanti) non hanno le mani sporche di sangue e non pranzano con il fegato del nemico. La cosa più terribile e sconvolgente è che sono persone comuni. In questo film in cui l’azione offusca la coscienza, il potere dipende dalla capacità di influenzare gli avvenimenti. Tutto quello che succede alla protagonista, compresa la sua incoronazione come miss, non dipende dalla sua volontà. Naranjo parla della violenza che invade l’intimità, annullando la volontà delle persone, e dell’ingannevole meccanismo che scatena: spari che si combattono solo con altri spari.

In una strada qualunque del paese si può fermare una macchina come un oscuro emissario del destino. Chi scenderà da quella macchina? Chi sarà obbligato a salire? Quest’incertezza determina Miss Bala, una perfetta descrizione dell’aria satura di polvere, caos, impunità e paura che regna nel Messico di oggi.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 918, 7 ottobre 2011*

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