22 marzo 2013 17:22

Steubenville è una piccola città dell’Ohio nella rust belt, quella “cintura della ruggine” industriale immortalata nelle canzoni di Bruce Springsteen.

Finora era conosciuta soprattutto come città natale del cantante e attore Dean Martin e della pornodiva Tracy Lords. Le acciaierie e le miniere di carbone che una volta sostenevano l’economia locale sono quasi tutte chiuse. Oggi, un quarto degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà.

Ma Steubenville ha, o meglio aveva, un motivo di orgoglio, uno solo: la squadra liceale di football americano, la Big Red, tra le più forti di tutto lo stato. Bisogna sapere che negli Stati Uniti le high school football teams sono come le squadre di calcio di serie A in Italia. Steubenville, che ormai ha solo 18.400 abitanti, vanta uno stadio da diecimila posti sovrastato da una scultura che raffigura un cavallo rampante che sputa fuoco ogni volta che segna la squadra locale.

La notte dell’11 agosto 2012, dopo una partita, due giocatori della Big Red, Ma’lik Richmond e Trent Mays, rispettivamente di 16 e 17 anni, hanno stuprato e sottoposto a ripetute umiliazioni una coetanea, trascinandola da una festa all’altra nonostante fosse così ubriaca da non riuscire a stare in piedi. Arrivati alla terza festa, davanti ad altri ragazzi divertiti, Mays si è calato i pantaloni davanti alla ragazza ormai completamente svenuta mentre Richmond la penetrava con le dita. Azione che, nello stato dell’Ohio, rientra (giustamente) nella definizione di stupro.

Diffuso inizialmente solo dalla stampa locale, il caso è arrivato sulle prime pagine dei giornali statunitensi per il ruolo che internet e i social network hanno svolto nella vicenda.

All’inizio i due ragazzi hanno raccontato gli avvenimenti di quella notte con sms e tweet, facendo circolare una foto della ragazza priva di sensi e con dello sperma sulla pancia, e alcuni video che poi sono stati condivisi dagli amici e compagni di squadra di Richmond e Mays. In un tweet, un altro giocatore della squadra scherzava dicendo che “c’è gente che si merita che gli facciano la pipì addosso”, riferendosi a un altro oltraggio a cui la ragazza è stata probabilmente sottoposta (almeno secondo i racconti di alcuni dei 27 ragazzi presenti alle feste e disposti a testimoniare; molti altri hanno rifiutato).

Ma i social network assumono un nuovo ruolo nella vicenda quando

una blogger scrive del caso e pubblica alcuni dei tweet e degli interventi postati dai ragazzi, fotografandoli prima che fossero cancellati, cosa che poi è avvenuta. In seguito gli hacker di Anonymous hanno diffuso un video in cui si vedono alcuni giocatori della Big Red scherzare intorno al tema dello stupro di “una ragazza morta”.

Il 17 marzo scorso, davanti a un tribunale minorile, Richmond e Mays sono stati condannati rispettivamente a un anno e a due anni per stupro e per stupro aggravato dalla diffusione dell’immagine di un minorenne nudo.

Ma i mezzi d’informazione non hanno taciuto neanche davanti a una sentenza tutto sommato giusta. Un reportage della Cnn che ha dell’incredibile ha voluto soffermarsi su come il carcere e l’etichetta di sex offender avrebbero pesato su questi due giovani: “È stato davvero difficile assistere a come questi due ragazzi con un futuro così promettente, due sportivi di prim’ordine, ottimi studenti, hanno visto le loro vite cadere a pezzi”, dice la corrispondente della Cnn Poppy Harlow parlando ai telespettatori dal cortile del tribunale.

Eh? Scusa Poppy, ma la vittima? È vero che la Cnn dedica qualche minuto alla ragazza, la cui vita “non sarà mai come prima”. Ma poi l’inviata aggiunge: “Lei non avrebbe mai voluto salire sul banco dei testimoni. Non voleva nemmeno andare alla polizia. Dice che sono stati i suoi genitori a decidere”.

Qual è il messaggio di questo servizio televisivo? Che sarebbe stato meglio per tutti se il caso fosse stato risolto amichevolmente, magari con qualche schiaffo tra padri, come si faceva una volta? Forse avrebbe dovuto tacere per il bene del football, come ha detto Nate Hubbard, un allenatore della squadra dei Big Red, dichiarando a un giornalista del New York Times: “Per me, la storia dello stupro era solo un pretesto. Che altro vuoi dire ai genitori quando torni a casa ubriaca dopo una notte del genere? Doveva pure inventare qualcosa. E ora vogliono rovinare tutto il lavoro della squadra”. È così che si radica e si tramanda una cultura di omertà e di colpevolizzazione della vittima (“se l’è cercata”).

Nel frattempo, la ragazza e la sua famiglia sono state bersagliate di minacce e insulti da parte di quelli che le accusano di aver trascinato nel fango Steubenville e la sua squadra. Un aspetto deprimente di questo capovolgimento è che spesso a lanciare le accuse sono delle donne. Infatti, il giorno dopo la sentenza, due coetanee della vittima sono state fermate dalla polizia per delle minacce che hanno fatto alla ragazza su Twitter e Facebook.

Tutto questo, curiosamente, era stato anticipato due anni fa in un reportage del sito satirico The Onion. Nel video, un calciatore sta cercando di “rifarsi una vita dopo il trauma di aver stuprato una ragazza”. Se masticate un po’ d’inglese, vale la pena guardare il servizio: è un capolavoro del suo genere.

L’unica nota positiva di una vicenda triste, a parte la serietà (in questo caso, s’intende) della giustizia statunitense e la solidarietà della società civile, è la dignità con cui la madre della vittima ha parlato dopo la sentenza. “Le vostre azioni di quella notte hanno colpito tante vite, comprese le persone a voi più care”, ha detto rivolgendosi ai due stupratori. “Vi siete accusati da soli scegliendo di diffondere sui social network le vostre azioni criminali”. Quanto a sua figlia, la madre ha assicurato: “Questa vicenda non definisce ciò che lei è. Lei perservererà, crescerà, volterà pagina”.

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