06 novembre 2014 16:57

Di recente due collettivi situazionisti hanno inscenato delle proteste simboliche sul tema dell’immigrazione.

La prima si chiama Zentrum für Politische Schönheit (Zps), il Centro per la bellezza politica (qua anche in inglese). Ha sede a Berlino e si definisce una “squadra di assalto che esplora la bellezza morale e la grandezza umana nel campo della politica” nel segno di un “umanesimo aggressivo”.

Secondo le dichiarazioni riportate sul sito, le azioni del collettivo si basano sulla constatazione che “la lezione dell’Olocausto ha perso senso a causa dell’apatia politica, della mancata accoglienza dei rifugiati, della vigliaccheria politica”. Lo Zps si inserisce in un filone di protest art che va da Banksy alle Guerilla girls. Nel 2009, per dirne una, hanno messo in vendita Angela Merkel su eBay.

Fra gli altri interventi dello Zps c’è il progetto Pillar of shame (pilastro della vergogna, ma anche colonna infame). Presentato in un’azione davanti alla porta di Brandenburgo, il progetto prevede la costruzione di due gabbie di metallo bianco, alte otto metri e a forma di U e di N, che saranno riempite di scarpe prese dalle fosse comuni in Bosnia per commemorare le vittime di Srebrenica e il “tradimento delle Nazioni Unite nel genocidio bosniaco”.

L’ultima trovata dello Zps è stata la rimozione da un memoriale vicino al Reichstag di 14 croci bianche che ricordano le persone uccise mentre cercavano di fuggire da Berlino Est. Sono riemerse qualche giorno dopo ai confini dell’Unione europea, in Grecia e in Bulgaria, e in mano a un gruppo di profughi maliani che da mesi cercano di varcare la barriera di filo spinato alta sei metri che divide il Marocco dall’enclave spagnola di Melilla. “In un atto di solidarietà spontanea”, recita la voce narrante in un video dedicato alla performance, “le croci sono fuggite verso quelle persone che muoiono di sete o annegano mentre cercano di entrare in Europa”.

Un gesto di cattivo gusto? Certo, se fossi un parente di una delle vittime della repressione sanguinaria della Germania Est, sarei arrabbiato per quello che si potrebbe definire un atto di arroganza politica nei confronti del mio caro defunto. Sono d’accordo con il direttore della Berlin wall foundation, Axel Klausmeier, quando dichiara che “quelli che chiedono più rispetto per la dignità degli esseri umani, un principio che sosteniamo senza riserve, dovrebbero anche rispettare la dignità delle vittime del muro di Berlino”. Le croci non sono fuggite “spontaneamente”, e non si possono attribuire delle prese di posizione postume a coloro che non sono più in grado di prendere una posizione.

Comunque l’arroganza dell’azione tedesca sembra uno scherzo al confronto della performance di un altro collettivo, questa volta britannico. Si chiama “governo del Regno Unito”, e il 28 ottobre ha annunciato la decisione (già messa in atto) di sospendere l’appoggio e il finanziamento alle missioni di salvataggio nel Mediterraneo perché, secondo una portavoce del ministero degli esteri, “creano un involontario ‘fattore di attrazione’, incoraggiando più migranti a tentare una traversata pericolosa e provocando altre morti tragiche e inutili”.

Una satira brillante, degna di un genio. Quello che il governo britannico sta dicendo, in poche parole, è: “Se lasciamo che le persone muoiano in mare, forse meno gente morirà in mare”. Ma il governo di David Cameron non è l’unico che cerca di spacciare la tesi del “fattore di attrazione”. Il ministro dell’interno tedesco Thomas de Maizière ha dichiarato recentemente che “Mare nostrum, nata come una missione di salvataggio, è diventata un ponte verso l’Europa. Le mafie stanno guadagnando migliaia di milioni di euro”.

Il problema è che stavolta non si tratta di una performance situazionista. Quella del “fattore di attrazione” è una tesi che può trovare consenso solo tra chi non capisce o non vuole capire la disperazione che induce delle persone a intraprendere dei viaggi estenuanti via terra per poi rischiare tutto in una pericolosa traversata marittima. Siamo seri: quante persone sono veramente disposte a salire su un barcone solo perché c’è la possibilità, non la certezza, che quando affonderà saranno ripescate da una nave della marina militare?

Secondo i dati dell’Unhcr, nei primi otto mesi del 2014, anche quando c’era Mare nostrum, circa l’1,3 per cento dei migranti è morto in mare nel tentativo di arrivare in Europa, e forse sono di più visto che la conta dei dispersi non è una scienza esatta. Per rendere meno astratta la cifra, supponiamo di dover prendere un aereo da trecento posti. All’imbarco ci informano che quattro passeggeri scelti a caso saranno buttati fuori durante il volo. Accetteremmo di salire a bordo?

Il governo italiano non ha avuto il cattivo gusto di parlare di “fattore di attrazione”, ma la fine di Mare nostrum, annunciata dal ministro Alfano a ottobre, peserà inevitabilmente sul bilancio dei morti in mare. Lanciato un anno fa dopo i naufragi dell’ottobre 2013, in cui hanno perso la vita più di 500 persone, ha assistito oltre 150mila donne, uomini e bambini. Adesso si passa all’operazione Triton, coordinata non dall’Italia ma dall’agenzia europea Frontex.

Con meno di un terzo dei fondi e mezzi molto ridotti rispetto Mare nostrum, si limiterà a pattugliare fino a 30 miglia dalla costa, nelle acque territoriali italiane. La marina militare italiana manterrà a Lampedusa solo una nave e tre pattugliatori rispetto alle 32 imbarcazioni impiegate nel corso di Mare nostrum. Alfano ha dichiarato che “gli obblighi che derivano dalla legge del mare” saranno rispettati, ma trattandosi in gran parte di barche che non hanno la possibilità di lanciare un sos, la legge del mare conta poco.

Certo, l’Italia non può essere lasciata sola ad affrontare le spese di un’iniziativa umanitaria che ha salvato migliaia di vite. Davanti all’offerta britannica di contribuire a Triton non con una nave o con un elicottero, ma con un solo doganiere e solo per il mese di novembre, mi vergogno del mio paese. Però è anche vero che il tentativo italiano di presentare Triton come successore di Mare nostrum non sta in piedi. Il primo mirava a salvare delle vite umane, il secondo invece si limita a pattugliare le frontiere. L’Italia risparmierà nove milioni di euro al mese, ma quanto costa una vita?

Nel clima isolazionista, egoista, antiumanista che avverto sempre di più in Europa, si può anche capire la rabbia che ha portato alla bravata dissacrante del collettivo Zps, pur senza condividere i loro metodi. Il 7 novembre, il loro progetto Erster Europeäischer Mauerfall proseguirà con un viaggio in pullman da Berlino ai confini greci e bulgari dell’Unione europea, dove due giorni dopo, nel 25° anniversario della caduta del muro di Berlino, vogliono abbattere un tratto della nuova barriera che l’Europa ha eretto contro chi sta fuori.

Probabilmente saranno arrestati prima ancora di arrivarci. Ma se serve ad avvertire qualcuno che l’Europa sta costruendo nuovi muri come quelli tra Israele e Palestina o tra gli Stati Uniti e il Messico, ben venga. È peggio spostare delle croci bianche simboliche o cercare di renderci tutti più cattivi e insensibili bollando un’azione umanitaria come un’esca per orde di nuovi immigrati? A voi la scelta.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it