16 aprile 2015 18:10

Les jeux sont faits. O quasi. A Parigi stamattina, in una conferenza stampa affollata, il direttore artistico Thierry Frémaux ha rivelato “il 90 per cento” dei film della selezione ufficiale del Festival di Cannes 2015. Altri titoli saranno annunciati nei prossimi giorni.

È arrivata la conferma di una notizia già ampiamente pronosticata e vociferata: tre film italiani in concorso, non era mai successo. Dopo la Francia, con quattro film selezionati finora, quella italiana è la seconda presenza nazionale, alla pari con gli Stati Uniti.

Non fidatevi però di eventuali trionfalismi sull’ennesima rinascita del cinema italiano. Si tratta piuttosto di lucky timing, una congiunzione fortunata che ha visto pronte nello stesso momento (o quasi) tre nuove offerte di cineasti affermati e già osannati sulla Croisette: Nanni Moretti (Mia madre), Matteo Garrone (Il racconto dei racconti) e Paolo Sorrentino (La giovinezza).

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A Moretti è stato concesso – prassi ormai consueta – quello che non viene concesso a nessun altro regista che vuole piazzare il suo film a Cannes, nemmeno quelli francesi: di uscire sul territorio nazionale prima del festival. Infatti Mia madre esce oggi e Frémaux, solo in parte scherzando, ha invitato tutti quanti a non andare in Italia per vedere il film.

Quella del 2015 è, almeno sulla carta, una buona selezione, intrigante e gustosa. Soffermandoci per il momento sui 17 film annunciati finora per il concorso, c’è qualche soddisfazione per i cinefili più accaniti, soprattutto con il contingente asiatico di Hou Hsiao Hsien, Jia Zhangke e Hirokazu Kore-eda. Ma c’è anche una conferma dello svecchiamento del parco registi che Cannes, sulla scia di Venezia e Berlino, sta operando da qualche anno a questa parte. I tre italiani non sono forse l’esempio migliore di questa tendenza, che si identifica invece nella scelta di film come Mon roi di Maïwenn, Macbeth di Justin Kurzel, Louder than bombs di Joachim Trier e Saul fia (Il figlio di Saul) del debuttante ungherese László Nemes.

Il film di Nemes, ex assistente alla regia di Bela Tarr, è ambientato ad Auschwitz nel 1944; è incentrato su un ebreo assegnato al Sonderkommado di uno dei crematori e che tenta di salvare il corpo di un ragazzo che crede essere suo figlio, in modo che possa essere sepolto degnamente da un rabbino. Tra gli altri, quello che aspetto con più ansia è Louder than bombs. Oslo 31 agosto, l’ultimo film del regista norvegese Trier (che pare sia un parente lontanissimo del meglio noto collega danese Lars), era di una bellezza e tristezza struggenti. Questo nuovo, girato in inglese, parla (nella migliore tradizione nordica) di rivelazioni che vengono a turbare la vita di una famiglia apparentemente felice e affermata. Speriamo che il cast stellare (Isabelle Huppert, Jesse Eisenberg, Gabriel Byrne, Amy Ryan, David Strathairn) non sia il sintomo di una virata commerciale nella carriera di un regista finora orgogliosamente indipendente.

Guarderei anche un adattamento dell’elenco telefonico se fosse girato da Todd Haynes

Con tutto rispetto per Gus Van Sant, Denis Villeneuve, la brava Valérie Donzelli e gli altri, mi soffermerei soltanto su tre altri titoli fra i film in concorso svelati stamattina. Il primo è forse il film più atteso del festival: Carol di Todd Haynes. Ambientato, secondo il regista, in una New York “dei primi anni cinquanta, una città molto sporca, squallida, trascurata”, è l’adattamento del romanzo Il prezzo del sale di Patricia Highsmith. Scritto nel 1952 sotto uno pseudonimo, per ovvi motivi storici, il libro sfodera una storia d’amore tra due donne, una (Cate Blanchett) ricca signora borghese, l’altra (Rooney Mara) commessa in un grande magazzino. Haynes ha dichiarato che si tratta di “una rievocazione degli anni cinquanta molto diverso da Lontano dal paradiso”. Per me va bene tutto, guarderei anche un adattamento dell’elenco telefonico se fosse girato da Haynes.

Devo confessare che l’ultimo film di Jacques Audiard, Un sapore di ruggine e ossa, mi ha leggermente deluso dopo due capolavori di fila, Tutti i battiti del mio cuore (2005) e Il profeta (2009). Troppo melodrammatico, troppo recitato, troppo scritto. Ma il nuovo film promette di essere una rifondazione dalla base. Non ci sono attori famosi in questa storia di un rifugiato tamil in una banlieue agiata di Parigi. Poi per me il fatto che sia “liberamente ispirato” a Le lettere persiane di Montesquieu è la ciliegina sulla torta.

Per finire in stranezza: The lobster (L’aragosta) del genio pazzoide greco Yorgos Lanthimos (quello di Kynodontas e Alpi) parla di un mondo futuro nel quale i single vengono mandati in una specie di love hotel dove hanno 45 giorni per trovare l’anima gemella. Se falliscono, vengono trasformati in animali e mandati nel bosco. Il cast comprende Colin Farrell, Rachel Wiesz, Ben Whishaw, Léa Seydoux, John C. Reilly, Ashley Jensen. Sono pronto a scommettere che non si vedrà nemmeno un’aragosta in tutto il film.

Poi c’è Woody Allen fuori concorso, Roberto Minervini in Un certain régard, il primo film di Natalie Portman da regista tra le proiezioni speciali… Insomma, in attesa dell’annuncio delle due sezioni parallele, la Quinzaine e la Semaine de la critique, nonché il completamento della selezione ufficiale (da cui dovrebbe mancare una decina di film), è un’annata che si prospetta bene, anche per quello che Thierry Frémaux ha dichiarato “la nostra missione di piazzare dei nuovi nomi e delle nuove regioni sulla mappa del cinema mondiale”.

Due altri dettagli. Primo: a detta di Frémaux, “quest’anno i selfie intorno al tappeto rosso non saranno banditi”, ma “intendiamo lanciare una campagna per rallentare quest’abitudine della società contemporanea”. Secondo: per l’edizione 2015 del festival, Frémaux e il neopresidente Pierre Lescaux porteranno degli smoking etici, fatti di tessuto riciclato. L’interprete simultanea inglese ha subito tradotto le sue parole con la bella frase ethical tuxedos. Se c’è qualche musicista rock alla ricerca del nome per un gruppo, eccolo servito.

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