15 febbraio 2017 12:11

Mark Renton, altrimenti detto Rent Boy, torna nella sua camera d’infanzia, in una casa modesta nella periferia di Edimburgo. La carta da parati è quella di vent’anni prima: treni colorati sbuffano vapore dappertutto.

Possiamo immaginare che i suoi genitori abbiano decorato la stanza così quando Renton era ancora bambino: ai maschi, si saranno detti, piacciono i treni. L’ultima volta che abbiamo visto Renton in quella camera, la carta da parati grondava ironia amara. Lui era un tossico che si era rinchiuso là dentro nel tentativo di uscire dal tunnel della droga nel più brutale dei modi, tremando e sudando, circondato da quei treni colorati e sbuffanti.

Vedere un Renton invecchiato di vent’anni rientrare in quella camera fa venire una forte malinconia, frammista con una nostalgia per qualcosa che era terribile ma allo stesso tempo molto bello. Non è il bambino che ci manca, un bambino che fra l’altro non abbiamo mai conosciuto. È quel giovane, poco più che ventenne, con le vene bucate ma vibrante come una corda tesa, pieno di forza vitale.

Come se il quarantenne Renton avesse intuito il nostro rammarico – o forse è l’attore Ewan McGregor, non Renton, a fare il gesto? – tira fuori un album da una vecchia scatola, estrae il vinile dalla custodia, lo pone sul giradischi, abbassa la puntina, e la solleva quasi subito. Giusto il tempo per farci sentire mezzo secondo di musica. Ma l’apertura martellante di Lust for life di Iggy Pop si riconosce subito. E sprigiona un’emozione fortissima nello stesso momento in cui dice: scordatevelo, è acqua passata, un altro giorno è andato, per migliaia di volte, e la sua musica è finita.

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Mi sono soffermato su una scena che dura una manciata di secondi perché riassume molti aspetti di un film che è insieme sequel, rivisitazione e viaggio impossibile à la récherche du temps perdu. T2 Trainspotting, presentato fuori concorso al Festival di Berlino e in uscita in Italia il 23 febbraio, è la reunion cinematografica di un gruppo post-punk i cui componenti sono ormai stempiati, con qualche capello grigio e più di un litigio fratricida alle spalle. È un evento che è insieme concerto e rito. I musicisti sanno perfettamente che i fan vogliono soprattutto le vecchie canzoni, quelle che li fanno sentire ancora giovani. Ma è proprio qui che il film supera la metafora, perché accenna continuamente a quel passato in modo ammiccante, si pone come costruito post-moderno con un tono in bilico fra il raduno celebrativo e l’amaro addio.

È vero che operazioni analoghe sono state fatte per film molto più commerciali di Trainspotting – come Terminator 2, titolo citato ironicamente in quello scelto dal regista Danny Boyle per questo sequel. Ma qui la reunion diventa la raison d’être di un film che pur essendo godibile, non riesce a muoversi fuori dalla crisi di mezza età che ritrae.

T2 è in parte basato su Porno, il romanzo del 2002 in cui l’autore scozzese Irvine Welsh rivisita i personaggi presentati per la prima volta in Trainspotting, il libro che ha ispirato il film del 1996. Vi ricordate la famosa corsa edimburghese di Mark Renton nel primo film, una fuga dagli addetti alla sicurezza di un negozio che diventa pura corsa adrenalinica? Qui viene citata già nella prima scena, dove vediamo Renton correre su un tapis roulant in palestra per poi crollare a terra per insufficienza cardiaca. Ma l’aver sfiorato la morte non sembra un motivo abbastanza solido perché questo esule ad Amsterdam, dove lavora come sviluppatore di software per il commercio al dettaglio, decida di tornare a Edimburgo, rischiando l’ira dei due amici che ha tradito e rubato alla fine della prima puntata.

T2 è essenzialmente un film sui maschi in crisi, ma anche un film incapace di uscire dalla sua ottica maschile

Sick Boy, ovvero Simon (Jonny Lee Miller), gestisce un pub fallimentare, ma il suo vero business è il ricatto a sfondo sessuale, che combina con l’aiuto di una giovane prostituta bulgara. Intanto ha fatto qualche progresso al livello farmaceutico, passando dall’eroina alla cocaina, che sniffa in quantità industriali. Lo psicopatico Begbie (Robert Carlyle) ha passato gli anni dalla scomparsa di Renton in prigione per omicidio; odia tutti, ma soprattutto odia Renton. Il gesto da gentiluomo di quest’ultimo nei confronti del povero, maldestro Spud (Ewan Bremner) – l’unico amico a cui ha lasciato, alla fine di Trainspotting, la quota che gli spettava dalla vendita di due chili di eroina – non è andato a buon fine. Quando il Renton redivivo gli chiede che ha fatto con i soldi, Spud risponde: “E secondo te? Sono tossico”.

Separato dalla moglie e dal figlio, solo nello squallore di un appartamento in un palazzone degli anni settanta in procinto di essere demolito, Spud è l’unico dei quattro amici oggi a incutere un po’ di tenerezza. Ma forse non abbastanza per giustificare la sua promozione a narratore della storia (altro tocco postmoderno) quando scopre improvvisamente la vocazione di scrittore.

Sotto la sua verve stilistica, T2 è essenzialmente un film sui maschi in crisi, ma anche un film incapace di uscire dalla sua ottica maschile: il personaggio di Veronika (Anjela Nedyalkova), la prostituta amica di Simon, è imbarazzante, una bambola che sembra arrivata qui da qualche sex comedy di serie b. La musica, certo, è sempre bella. Ma i nuovi brani di gruppi come Wolf Alice e Young Fathers non legano con la storia come quelli del film originale. Suonano un po’ come un padre che copia la playlist del figlio per sembrare fico.

Forse la pecca più grande del nuovo Trainspotting è che ha poco da dire sulla Gran Bretagna del 2017 oltre a qualche vago accenno al movimento per l’indipendenza scozzese e un rifacimento sardonico del famoso discorso di Renton che comincia “Scegliete la vita, scegliete un lavoro…”. La nuova versione comincia: “Scegliete la vita, scegliete Facebook, Twitter, Instagram, sperando che da qualche parte a qualcuno freghi qualcosa”, per poi prendere di mira, fra le altre cose, reality, revenge porn e i contratti a zero ore. Ma sono riferimenti doverosi, banali. Manca la rabbia. Manca il disprezzo. Manca il Lust for life, l’ardente brama di vita.

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