13 dicembre 2014 16:47

Questo articolo è composto quasi esclusivamente da titoli di libri usciti in Italia nel 2014. I titoli non sono stati modificati, se non, in certi casi, per l’articolo al loro inizio. I link rimandano alla loro descrizione.

2014: a un secolo dal fuoco e il gelo della prima guerra mondiale, in questo tempo senza età, abbiamo assistito alle seduzioni economiche di Faust, al gioco e il massacro del colpo di stato permanente, a cosa resta della democrazia assediata, alla trappola dell’austerity, alla mafia spiegata ai bambini della rivoluzione romana di questi giorni, alla ferocia dell’Isis, et cetera (e, anche se il mondiale è un’altra cosa, di calcio non si parla).

Ma il 2014 è stato anche un anno di storie di uomini e libri, e questa è una breve storia del libro (a modo mio) nel 2014, con tutti i suoi momenti di insopprimibile fastidio. Perché ne ammazza più la penna

Non è un “libro dei fatti 2014”, e non sono certo i cento libri che rendono più ricca la nostra vita (senza parole a proposito di capolavori), né racconti di una vita, né i libri della mia vita. Il punto è che ogni libro è anche un dettato del presente come storia, della commedia italiana, del male necessario e dei mali minori, consigli inutili, biografie immaginarie: la vita, forse l’arte.

È la biblioteca che vorrei per un lungo sguardo sull’anno passato e su un’etnografia del quotidiano del 2014. Non sono solo ritratti italiani, ma un’anatomia dell’indaginequasi un romanzo, perché del resto la realtà non è come ci appare – sia su questa Repubblica dei matti che su questo mondo piccolo.

Questi sono tempi da raccontare, scrivere e vivere, attraverso notizie dalle tenebre ma contro gli opposti pessimismi. I cacciatori di libri italiani del 2014 disegnano così un atlante immaginario che è anche un atlante dei luoghi maledetti. In fondo noi, bugiardi nati, siamo sempre stati maestri di finzione, da Pascoli a Busi.

Speravamo nei miracoli e un giorno, alla fine del sonno, invece ci siamo svegliati di fronte a un paesaggio di ceneri. Con tutta la fatica di diventare grandi (conscio della giusta fatica di crescere), ripensi alle scelte che non hai fatto, cerchi di vivere, pensare, guardare come finisce il libro, seduti sulla panchina o in piedi sui pedali, a imparare l’arte di mentire a se stessi e agli altri, a imparare l’uso dei corpi, fino in fondo, a sentirsi sulla cresta dell’onda, fra aurore d’autunno in un animo d’inverno, a uscire dalla paura fra amore e ostacoli e fra clamori al vento. Un elogio dell’anarchismo senza padri dev’essere anche un elogio della lentezza di un viaggio in Italia, terra mobile, un millimetro in là e uno in qua.

La vita umana sul pianeta terra, fin dall’uomo di Neanderthal, è una storia parziale delle cause perse. L’Italia può farcela? Può darsi, regaliamoci speranza, ma un disastro è per sempre. Il rischio è che, se viceversa cerchi una fabbrica della speranza, è così che la perdi. Discorso globale, sofferenze locali: certo, ma, cercando una exit strategy, viene da guardare quel che rimane della fortezza di questo paese ben coltivato ma poco raccomandabile e chiedersi: perché non lo portate a Lourdes?

Nell’ombra e nella luce di questo paese, l’ultima spedizione di noi eroi imperfetti, uomini e comandanti, è dirsi “io non ci sto” e che alla fine andrà tutto bene, non mollare e ripoliticizzare il mondo, senza paura, senza pietà, come prima, quando tutto era possibile, quando non ci eravamo mai annoiati, quando i buoni venivano da lontano. Siamo buoni se siamo buoni. Come cavalli che dormono in piedi, svegliamoci pure, ma a un’ora decente.

Niente è per caso, neanche gli stati di grazia. Ti dicono “scuotiamo l’Italia, non abbiamo mai avuto così poco tempo per fare così tanto”, ma allora tu ti dici “non ci capisco niente”, perché, se questi sono i nomi (“solidarietà”?), allora c’è bisogno di nuovi nomi.

Nel 2014 avremmo dovuto avere tempo di andare a pesca nelle pozze più profonde, imparando a camminare per i sentieri dove cresce l’erba, inseguendo un’ombra, a spasso fra i rifiuti, dietro alle le nostre deboli tracce, dove nessuno ti troverà. Avremmo dovuto dedicarci alle persone, soltanto le persone, perché siamo immersi nell’illusione della separatezza, ma fra noi c’è solo una parete sottile di cartongesso, perché le storie degli altritutti gli altri – possono essere il sintomo della nostra guarigione, una tregua senza il vento della storia.

Di tutta la solitudine che meritate per favore non dite niente. Non puoi tornare a casa, perché ci sei già, e sentirai che è meglio stare a casa. I filosofi parlano di felicità, gli umani dell’ostinato scorrere del tempo. La vita non è in ordine alfabetico, né, con rispetto parlando, è fondata sulla cultura. È piuttosto un labirinto filosofico: c’è prima di tutto da uscirne vivi, perché la morte di un uomo felice e l’educazione (im)possibile alla vendetta non servono a nessuno. Ricorda: 1914-1918. Praticamente era solo ieri. E allora immagina di essere in guerra, e non dirmi che hai paura.

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