22 gennaio 2010 18:06

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ereditato tre guerre. Nel 2002 si era schierato contro quella in Iraq, considerandola inutile, costosa dal punto di vista economico e militare, e controproducente per la seconda guerra, quella in Afghanistan, ritenuta invece legittima perché da lì era partito l’attacco agli Stati Uniti. La terza è la guerra globale contro Al Qaeda. Non sono conflitti indipendenti ma richiedono approcci diversi, e sono la sfida più importante per Obama.

La guerra in Iraq era in via di soluzione quando è arrivato al potere. Dopo una disastrosa repressione dei sunniti a favore degli sciiti, che ha portato a una feroce resistenza sunnita e alla crescita di Al Qaeda in un paese dove prima era assente, dal 2007 una nuova linea ha capovolto la situazione. La svolta è stata riconoscere il potere dei sunniti armando e pagando le milizie tribali, evitare che gli sciiti usassero il governo per i loro regolamenti di conti, e isolare Al Qaeda. Così è stato possibile normalizzare gradualmente il paese, grazie anche all’aumento sostanziale di truppe statunitensi.

L’era Petraeus

La nuova politica di controinsurrezione è stata elaborata dal generale David Petraeus, 58 anni, che ha assunto il comando in Iraq nella primavera del 2007. Petraeus appartiene alla leva che si è formata studiando la lezione della guerra del Vietnam. I militari della sua generazione hanno un grado di istruzione molto alto e usano le loro competenze per mettere la forza al servizio di obiettivi politici e sociali. Petraeus ha ottenuto un dottorato in relazioni internazionali a Princeton con una tesi sui rapporti tra civili e militari durante la guerra del Vietnam. Ha insegnato all’accademia militare e ha scritto un manuale di controinsurrezione in cui viene data la priorità ai rapporti con le popolazioni civili, puntando sulla ricostruzione del paese e sulla restituzione del potere ai dirigenti locali.

La sua frase più famosa è “i soldi sono munizioni”. Non sono solo parole. Ha portato la pace a Mosul all’inizio della guerra in Iraq combattendo la corruzione della polizia e rispettando le autorità curde. Quando ha assunto il comando in Iraq si è circondato di collaboratori fidati. Il successo ottenuto in poco più di un anno gli è valso un enorme prestigio agli occhi dell’opinione pubblica. Riviste come Time, Newsweek e Prospect l’hanno definito uno dei più importanti “intellettuali pubblici” e Foreign Policy l’ha incluso nella sua lista dei cento “pensatori globali”. Nel 2009 è stato promosso a capo del comando centrale che comprende il Medio Oriente e l’Asia centrale, per portare la pace in Afghanistan.

Qui ha messo un altro dei suoi uomini, il generale Stanley McChrystal, un po’ più giovane di lui, brillante laureato dell’accademia militare che ha studiato anche a Harvard e Georgetown. McChrystal ha però anche un chiaro profilo operativo, come capo delle forze speciali nel Golfo e in Iraq. Incarna la nuova strategia di ottenere informazioni precise e usare commando e droni per liquidare i leader guerriglieri. È stato lui a catturare Saddam Hussein e sono stati i suoi uomini a uccidere Al Zarqawi, il carismatico leader di Al Qaeda in Iraq. Ma su McChrystal pesa l’ombra delle torture compiute nel campo Nara, in Iraq, dalla sua forza di intervento 6-26.

Ora ha una doppia missione: ripetere in Afghanistan quello che ha funzionato in Iraq ed eliminare Bin Laden e Al Zawahiri. Per ora ha ucciso il leader taliban pachistano Mehsud. Ma i taliban non sono le milizie sunnite: sono un movimento religioso politico radicato nelle tribù pashtun a cavallo tra Kandahar, Helmand e il Pakistan. Il governo di Karzai non potrebbe reggersi senza l’alleanza con i signori della guerra, che controllano diverse province e si vendono al miglior offerente, taliban compresi.

Un governo stabile

Obama non vuole più riformare l’Afghanistan, vuole solo un governo stabile che isoli Al Qaeda. McChrystal ne ha approfittato per chiedere 40mila soldati, stabilendo però anche nuove misure per limitare le vittime civili dei bombardamenti. Facendo filtrare le sue richieste alla stampa ha mostrato una buona dose di indisciplina, ma Obama ora non può aprire un quarto fronte contro i suoi stessi militari. Consapevoli della situazione, alcuni militari sono decisi a non perdere questa guerra come fu persa quella in Vietnam, anche se cercano una vittoria più politica che militare. E non solo in Afghanistan, ma anche negli Stati Uniti.

I repubblicani vogliono convincere David Petraeus a diventare il loro candidato alla presidenza per il 2012. Il generale ha smentito di avere ambizioni politiche, ma senza leader credibili per i repubblicani potrebbe essere un’alternativa davvero popolare.

Obama rispetta i suoi generali perché conosce la loro professionalità e sa che la soluzione per uscire dai vespai del mondo islamico sta in questa combinazione di politica, spionaggio e uso selettivo della forza. Ma sa anche che i generali stanno lentamente imponendo una loro linea politica. Al contrario della famosa massima di Clausewitz, in questo caso la guerra si fa attraverso la politica. Se la corda continua a tendersi ci sarà una crisi e, a seconda di come andranno le cose, la presidenza di Obama potrebbe correre gravi rischi.

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