27 luglio 2016 19:05

Cos’è. È il terzo capitolo di una serie di film a basso budget e alto successo di pubblico scritti e diretti da James DeMonaco, ambientati in un futuro distopico in cui ogni anno in una notte di marzo negli Stati Uniti è sospeso lo stato di diritto e non viene perseguito alcun reato. Questo rito catartico e terribile detto “sfogo” (“purge”), in cui ciascuno può uscire e uccidere o torturare chi preferisce, è stato promosso da un partito nazionalista da anni al governo, i Nuovi padri fondatori d’America, e ha generato una situazione in cui sviluppo, occupazione e sicurezza sono apparentemente in buona salute. In questo terzo capitolo la senatrice Charlie Roan (Elizabeth Mitchell) si candida alle elezioni presidenziali con l’idea di abolire lo sfogo, essendo lei stessa sopravvissuta alla strage della sua famiglia diversi anni prima. Si vota però a novembre, e nella notte del giudizio di marzo i Nuovi padri fondatori cercheranno di ucciderla a tutti i costi.

Il capo della sicurezza della senatrice è Leo Barnes (Frank Grillo), già protagonista del secondo capitolo. Nella notte i due, in fuga da sicari e traditori, si uniranno al gruppo del saggio gestore di un negozio di alimentari Joe Dixon (Mykelti Williamson) per cercare di sopravvivere e salvare la democrazia. Entreranno anche in contatto con una resistenza armata afroamericana, che già si era vista nell’episodio precedente, capitanata da Dante Bishop (Edwin Hodge).

Com’è. L’idea di base della serie è solida ed efficace: prendo il tema della violenza individuale e delle armi, lo porto all’estremo e, come nella fantascienza dell’inner space di J.G. Ballard, faccio fiorire le contraddizioni e le osservo. Nel primo episodio, ambientato tutto nella casa dei protagonisti, era la protezione della famiglia e della proprietà, l’idea dell’altro, con risvolti razziali e sociali, a sostenere un film dove sostanzialmente ci si difendeva. Il secondo capitolo Anarchia. La notte del giudizio, il migliore dei tre, era un film di azione molto più dinamico, ambientato per la strada, dove le idee e la psiche dei personaggi erano messe alla prova dagli eventi. Questo terzo film è decisamente più allegorico, e si concentra evidentemente sul parallelismo tra il contesto politico e sociale del mondo reale e questo specchio deformante. Questo dà a Election year un certo pathos battagliero, ma allo stesso tempo lo rende più pesante.

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Dal punto di vista estetico, non ci sono più le maschere semplici e terrificanti che la gente a caccia di vittime da scannare indossava nei film precedenti o meglio ci sono, ma sono travestimenti barocchi e leccati. C’è molta più politica, insomma, molta più morale: non si parteggia più per alcuni solo perché sono quelli che seguiamo e ci siamo affezionati; si sta dalla parte dei buoni perché combattono contro l’ingiustizia e la dittatura. Questi Nuovi padri fondatori ricordano da vicino, essendone una versione delirante e parossistica, sia i tea party repubblicani che la National rifle association.

La recitazione è coerente con l’atmosfera del film, e Frank Grillo se la cava bene nel ruolo del burbrto determinato che agisce con forza a fin di bene. Elizabeth Mitchell fatica maggiormente a interpretare una senatrice candidata alla presidenza degli Stati Uniti, perché in un contesto così violento il suo viso pulito e ampio, i suoi occhioni stupendi, che il pubblico ha già visto in Lost, tirano un po’ troppo verso l’anima bella che vince con la sola forza dell’amore.

Perché vederlo. L’idea di base de La notte del giudizio funziona, per quanto sia sopra le righe e grossolana da molti punti di vista, anzi paradossalmente proprio per questo. Chi ha visto gli altri due capitoli vorrà vedere anche questo, e ci troverà quell’andazzo piacevolmente sfrontato che è la spina dorsale della serie. In più qui c’è una specie di goduria revanscista, una voglia di vincere contro i cattivi, che risulta molto più riposante di quel senso di cupo scampato pericolo che si provava alla fine del primo e del secondo film.

Perché non vederlo. Per un film che non racconta la violenza esplosa, ma segue le avventure di una squadra di eroi che la vogliono sconfiggere, La notte del giudizio - Election year è troppo innamorato del male che mette in scena. È pieno di inquadrature al rallentatore, di nemici grotteschi poco credibili che non fanno paura, di sottolineature grossolane (bassi improvvisi a ripetizione) che a tratti lo rendono un film più semplicemente brutto che piacevolmente tamarro. Anche perché a rendere tutto fastidiosamente ipocrita c’è il moralismo, la divisione del mondo in buoni e cattivi, ricchi e poveri, bianchi e minoranze, che aggiunge peso didascalico a un film che non ne aveva proprio bisogno.

Una battuta. Queste armi sono state purificate con l’acqua santa.

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