19 settembre 2016 10:42

Cos’è. È un film di montaggio, arricchito da qualche intervista realizzata di recente, che racconta la storia dei primi anni dei Beatles, quelli delle esibizioni dal vivo, dal 1962 fino al 1966. Il film è realizzato in collaborazione con Apple corps (non quella di Steve Jobs ma quella dei Beatles stessi), Paul McCartney, Ringo Starr e gli eredi di John Lennon e George Harrison. Il materiale video è stato restaurato e portato in formato digitale in 4k; l’audio è stato ripulito e digitalizzato agli studi di Abbey Road a Londra. Il film è uscito giovedì scorso e rimane in sala fino a mercoledì 21 settembre, con sottotitoli in italiano e l’intero concerto (30 minuti) allo Shea Stadium del 1965 proiettato subito dopo.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Com’è. Come tutti i film di montaggio, anche questo vive di due elementi: la natura delle immagini e la qualità della scrittura, cioè il mondo in cui il repertorio è messo in contesto. Le immagini sono stupende in sé, e nella versione restaurata acquistano freschezza. Molte sequenze sono note agli appassionati dei Beatles, ma non erano mai state tanto belle né raggruppate in maniera così organica. Per quanto riguarda la vicenda, si parte da Liverpool per arrivare ai concerti negli stadi, disco dopo disco, tour dopo tour. Tutto è chiaro e allo stesso tempo mai troppo pedissequo. Ci sono alcune interviste girate oggi per l’occasione: a parte i protagonisti, gli altri costituiscono un contorno piacevole che non disturba, e in qualche caso (Whoopi Goldberg) chiarisce aspetti interessanti.

Perché vederlo. I Beatles sono stati soprattutto due cose in modo unico e irraggiungibile: musica e costume. Ovviamente i due ambiti si mescolano spesso, separarli è una forzatura. Ma la prima parte della loro carriera è quella fondamentale dal punto di vista del costume, soprattutto per l’effetto che hanno sulle masse, il loro prendere il fenomeno Elvis e portarlo a un altro livello da tutti i punti di vista. La capacità virale dei quattro, il loro essere una specie di bomba felice per il mondo intero, emerge molto bene, così come l’aspetto punk, politico e identitario della loro scalata verso una condizione di semidivinità. Il film mostra tutto questo con equilibrio tra il personale e il pubblico, il mediatico e l’individuale. Chiunque abbia vissuto una fase anche temporanea di amore per questi quattro deve vedere The Beatles: Eight days a week. I fan sono destinati a mantenere un sorriso ebete durante tutta la proiezione, non riuscire a stare fermi, canticchiare, suonare la batteria con le mani e versare anche qualche lacrima di gioia. Chi è interessato a capire come si sia passati da svaghi tipo andare a veder passare il treno all’assedio di un cantante fuori casa (vedi Britney Spears, Amy Winehouse o Lady Gaga) sappia che è cominciato tutto con i tour dei Beatles, e qui si vede bene.

Perché non vederlo. Se detestate i Beatles o i documentari, lasciate stare.

Una battuta. Paul McCartney e un giornalista. “Cosa resterà dei Beatles nella cultura occidentale?”. “Cultura? Mi prendi in giro? Noi non facciamo cultura!”. “Cosa fate?”. “Ci facciamo quattro risate!”.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it