04 maggio 2016 13:20

“Il lavoro più bello del mondo”: così ha detto Walter Veltroni dei suoi sette anni come sindaco di Roma. Chissà se i contendenti attualmente in gara per le elezioni del 5 giugno se la sentirebbero di ripetere quest’affermazione, dato che l’esperienza al Campidoglio, almeno per gli ultimi due sindaci, è finita in malo modo.

Eppure la voglia era tanta, molti sono stati gli intrepidi a farsi avanti in un primo momento; perfino il senatore svizzero-abruzzese Antonio Razzi si è buttato nella gara, lanciando la proposta innovativa di acquistare 500mila gatti per disinfestare Roma una volta per tutte dai topi.

Ma ormai, dopo la mesta ritirata di Guido Bertolaso, il campo dei contendenti – almeno di quelli che si giocheranno davvero la partita – si è ridotto notevolmente. Hanno una possibilità di arrivare al ballottaggio solo in quattro: la candidata cinque stelle Virginia Raggi (avanti nei sondaggi con il 27 per cento) e poi – testa a testa con circa il 20 per cento ognuno – Roberto Giachetti (Pd), Alfio Marchini (”Liberi dai partiti”, ma anche con Forza Italia) e Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia più Lega nord, vale a dire Le Pen). Segue a distanza Stefano Fassina (sinistra-sinistra) con uno scarso 6 per cento. Chiunque vinca, una cosa è certa: con il nuovo sindaco Roma sarà irriconoscibile.

Colpisce la solerzia con cui tutti i candidati scansano il vero nodo, quello di voler governare un comune disastrato

Senza particolari guizzi di fantasia Raggi intravede “una capitale a cinque stelle”, “Roma torna Roma” promette invece Giachetti, mentre Marchini ha comunque “Roma nel cuore”. Sarà una città amministrata perfettamente in cui la fanno da padrone la trasparenza, l’efficienza, l’onestà. Da parte di tutti i candidati si parla di chiudere con il passato, con i trasporti pubblici disastrati, con la nettezza urbana malridotta, con le periferie abbandonate a se stesse.

Mobilità rivoluzionata (Raggi vuole “una nuova flotta di bus con cabina blindata” e, bontà sua, “un sistema di gestione intelligente della mobilità”; Giachetti rispolvera la “cura del ferro”, evergreen in tutte le campagne elettorali degli ultimi vent’anni; Marchini rilancia promettendo addirittura una “metropolitana sopraelevata” tra Fiumicino e Ostia Antica), strade pulite e monnezza differenziata a gogò, servizi sociali potenziati, municipi decentrati, campi rom sgomberati: chi più ne ha più ne metta.

Il più diligente nella preparazione del programma è stato senz’altro Marchini, che offre addirittura un testo di 101 punti. Si spazia dai “tombini tecnologici” ai tornelli della metro “alti due metri” a una non ben motivata riduzione delle multe sugli autobus da 50 a dieci euro in caso di pagamento immediato (e viene il sospetto che si voglia assicurare pure il voto dei “portoghesi”).

Costi alti e servizi scadenti

Non è vietato sognare. Colpisce comunque la solerzia con cui tutti i candidati scansano il vero nodo, quello di come governare un comune disastrato. Certo, Giachetti nota che i romani pagano più tasse di tutti per avere servizi più scadenti. Certo, la Meloni si lagna dei “decenni di giunte di sinistra (che) hanno lasciato in eredità un debito enorme”, scordandosi però allegramente dei cinque anni di Gianni Alemanno che hanno assestato il colpo finale alla città. Ma nessuno offre una ricetta seppure minima di risanamento, nessuno dice come stanno le cose.

Intendiamoci: proprio perché Roma si dibatte con un debito pregresso che si aggira tra i 12 e i 14 miliardi di euro, proprio perché le casse del comune sono vuote, gli spazi di manovra della politica sono ridottissimi. E come se non bastasse anche l’Atac (l’azienda dei trasporti) e l’Ama (la municipalizzata della nettezza urbana) vantano debiti giganteschi, offrendo allo stesso tempo servizi scadenti.

Il problema non sta tanto – o non solo – negli organici di quelle aziende. Certo, l’Atac conta 12mila dipendenti, ma anche la Bvg, l’azienda di trasporto di Berlino, ne ha 14mila. Certo, l’Ama occupa ottomila persone, mentre il suo omonimo berlinese si limita a cinquemila. Ma il vero nodo è un altro. Quegli eserciti, tra comune e municipalizzate, più che per i servizi si distinguono per i disservizi ai cittadini. E chi vuole cambiare Roma deve cambiarne da cima a fondo la governance, deve fornire proposte concrete prima di tutto sulla “macchina” del comune. Questo, sì, sarebbe un atto di onestà. Poi possiamo ricominciare a sognare.

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