09 novembre 2010 14:08

Libri letti

Live from New York, Tom Shales e James Andrew Miller

Brooklyn, Colm Tóibín

Le ragazze di pochi mezzi, Muriel Spark

Quello era l’anno, (metà) Dennis Lehane

Atteggiamento sospetto, (metà) Muriel Spark

Invidia, (metà) Muriel Spark

Tinkers, (metà) Paul Harding

Libri comprati

Il nostro comune amico, Charles Dickens

Brooklyn, John B. Manbeck

Libri scaricati gratis

Il nostro comune amico, Charles Dickens

Le avventure di Huckleberry Finn, Mark Twain

Babbitt, Sinclair Lewis

Esattamente quattro anni fa, come certamente ricorderete, questa rubrica aveva audacemente introdotto un premio per lo scienziato del mese. Il primo vincitore era stato Matthias Wittlinger, dell’università di Ulm, in Germania, che ha fatto cose mirabili con e alle formiche.

Per riuscire a scoprire come facessero a ritrovare la strada di casa, Wittlinger aveva accorciato le zampe a un gruppo e messo i trampoli a un altro, per modificarne il passo. Nel lontano 2006, accorciare le zampe delle formiche ci era sembrato un modo assolutamente ammirevole di passare il proprio tempo, ma eravamo più giovani e vivevamo in un’epoca più innocente. Nonostante l’enorme interesse suscitato da questo premio inaugurale, Wittlinger non ha ricevuto un bel niente e probabilmente, se non era abbonato a questa rivista, non sa neppure di aver vinto. Come se non bastasse, dopo di lui non c’è stato nessun altro vincitore, perché il mese dopo ci eravamo già dimenticati tutta questa storia.

E il vincitore è…

Comunque: torna il premio! Sono strafelice di annunciare che il vincitore di questo mese, Rolando Rodríguez-Muñoz, lavora proprio qui in Inghilterra, all’università di Exeter. Insieme al suo collega Tom Tregenza, Rodríguez-Muñoz ha studiato le strategie di accoppiamento dei grilli. Secondo l’Economist, i due ricercatori hanno scoperto che “i grilli più piccoli riescono a compensare la scarsa statura con un prodigioso frinire”. In altre parole, essere il cantante di una band funziona anche per gli sfigati di altre specie.

Rodríguez-Muñoz ha soffiato il premio a Tregenza perché, dopo aver “catturato, marcato, liberato e monitorato centinaia di grilli” con i suoi collaboratori, filmando 64 tane diverse, Rodríguez-Muñoz è quello che ha visionato e analizzato i risultati: 250mila ore di riprese! Un quarto di milione di ore! Poco meno di tre anni di porno di grilli.

Presumo che i grilli, come noi, passino più tempo a cercare di fare sesso che a farlo, ma deve comunque averne viste delle belle. I più severi tra i membri della giuria hanno cercato di obiettare che Rodríguez aveva barato vedendo i filmati in fast forward e su sedici monitor contemporaneamente, ma io non ci sto: secondo me, guardare grilli che si accoppiano a velocità doppia è anche più difficile che guardarli a velocità normale. No, Rolando Rodríguez-Muñoz è un eroe, e si merita tutto il meglio.

Quattro anni fa, qualcuno aveva malignamente insinuato che il premio per lo scienziato del mese fosse in qualche modo collegato ai Mondiali di calcio. “Non ha letto abbastanza per scrivere la rubrica”, era questa la tesi, “e appena ha trovato un articolo interessante su una rivista, tra una partita e l’altra, si è inventato questa fesseria per tirarsi fuori dai guai”.

Questo mi offende profondamente, prima di tutto perché svaluta il brillante lavoro di questi straordinari studiosi. E anche se è vero che mentre scrivo questa rubrica ci stiamo avvicinando alla finale di un altro campionato mondiale di calcio e il tempo per la lettura si è molto ridotto, posso assicurarvi che la ricomparsa di questo prestigioso riconoscimento è una pura, anche se sorprendente, coincidenza.

La testa nel pallone

L’effetto che i Mondiali hanno avuto sulle mie letture è stato ancora più negativo che nel 2006. Allora mi ero limitato a non aprirne neanche uno. E anche se ero rimasto turbato dalla facilità con cui una partita tra la Turchia e la Croazia poteva cancellare la mia fame di lettura, almeno la letteratura ne era uscita indenne. Questa volta, come potete vedere dalla lista qui accanto, ho saziato il mio appetito divorando i primi capitoli di diversi libri, e il risultato è che ci sono romanzi mangiucchiati sparsi dappertutto. Almeno credo che ci siano, perché li ho temporaneamente persi di vista quasi tutti.

Recentemente, ho parlato dei romanzi di Muriel Spark, della loro genialità e della loro piacevole stringatezza. Ma la stringatezza dell’autrice ha un evidente svantaggio: i suoi libri tendono a restare sepolti sotto le cose. Il romanzo storico di Dennis Lehane, Quello era l’anno, ce l’ho sempre a portata di mano solo perché è un tomo di settecento pagine. Questo non l’ha aiutato a farsi leggere, è vero, ma almeno è visibile. Non ho perso, invece, Le ragazze di pochi mezzi, che ho trovato eccentrico e divertente e triste come gli altri romanzi di Spark che ho letto il mese scorso.

Alla fine dell’ultima rubrica avevo promesso di leggere Il nostro comune amico su un e-reader, e non ho fatto neanche quello. Un po’ per il calcio e un po’ perché leggere Dickens in quel modo era frustrante. Oltre al fatto che un romanzo vittoriano non è adatto a un sofisticato marchingegno del ventunesimo secolo, ho voluto risparmiare scaricando il testo da un sito che offre il download gratuito di romanzi senza copyright. Mi sono regalato Babbitt e Le avventure di Huckleberry Finn in una volta sola.

Un mercato in espansione

L’edizione scaricata è arrivata senza note, però, e a me le note piacciono parecchio. Per l’esattezza, ogni tanto ho bisogno delle note (alla fine ci arrivate anche da soli a capire che la “polvere”, che è un elemento chiave della trama, è sporcizia domestica e non granelli di terra, ma se lo trovate spiegato chiaro e semplice all’inizio del romanzo risparmiate un sacco di tempo e di dubbi).

Non mi ero mai reso conto di come le leggi sul diritto d’autore favoriscano il mercato dell’e-reading e, naturalmente, danneggino l’editoria. Penguin e soci fanno un sacco di soldi vendendo libri di gente morta da un pezzo e se tutti scegliessimo la via del download gratuito, allora ci sarebbero meno soldi per gli scrittori vivi. Preso da un impulso autopunitivo, ho comprato immediatamente una copia di Il nostro comune amico, anche se da qualche parte devo averne già una. Non servirà a niente, alla lunga, perché libri, editori e lettori sono chiaramente spacciati. Ma forse dovremmo tutti fare il possibile per allontanare il disastro incombente, almeno di un po’.

Mi ero messo a leggere Il nostro comune amico per ragioni professionali: devo scriverne l’introduzione per una nuova edizione. E ho letto per lavoro anche Brooklyn di Colm Tóibín: mi era stato chiesto di valutare la possibilità di adattarlo per il cinema, e siccome almeno un milione di critici e molti esseri umani veri mi avevano detto quanto era bello, ho preso sul serio la proposta.

Non sono le circostanze migliori in cui leggere un romanzo: invece di ammirare la scrittura, concentrarti sui personaggi e voltare le pagine per scoprire che cosa succederà, sei lì che pensi “Mah, non so”, “Sì, questo potrei tagliarlo”, “Miley Cyrus sarebbe perfetta per questa parte” e “Ma voglio davvero passare i prossimi anni della mia vita a rovinare la prosa di questo tizio?”.

È merito del romanzo di Tóibín – con la sua prosa misurata e attenta, l’empatia quasi straziante con cui racconta i personaggi, la forza del suo realismo – se ben presto ho dimenticato il motivo per cui lo stavo leggendo, e l’ho letto e basta. Poi, dopo averlo finito, ho deciso che volevo adattarlo per il cinema, non solo perché mi è piaciuto, ma perché sono riuscito a “vederlo”. Non il film, certo, ma il mondo del romanzo: la cabina di terza classe in cui la sua protagonista viaggia da Liverpool a New York nei primi anni cinquanta, il grande magazzino in cui lavora, i balli a cui partecipa. Sono tutti rappresentati con il gusto di un direttore della fotografia per la profondità, la luce e i dettagli.

Uno scrittore paziente

La critica più oziosa e irritante che può essere rivolta a un romanzo è quella del lettore della domenica che dichiara di essere rimasto “completamente insensibile” ai personaggi e alle loro traversie: una lamentela generalmente espressa con il tono di chi considera questa banalità il prodotto di un pensiero profondo e originale (evidentemente a questi critici non viene mai in mente che il difetto possa essere in loro e non nelle pagine del libro. Forse gli capita la stessa cosa con amici, genitori, figli: “Il problema di mia figlia è che non riesce a farsi amare abbastanza da me”. Di fronte a questo, dovremmo annuire soddisfatti?).

Non vuol essere un complimento a doppio taglio se dico che Tóibín se ne infischia di quello che provate per Eilis, la sua eroina. Questo non significa che il libro sia freddo e neutrale, o che Tóibín sia uno scrittore disimpegnato. Non lo è. Ma è paziente, pacato e non sentimentale, e si affida alla storia più che alla prosa per coinvolgere emotivamente. E ci riesce. Brooklyn sceglie la forma narrativa di un tipo di libro molto dozzinale – “una donna, due paesi, due uomini” – ma non è di questo che si tratta.

Di cosa si tratti esattamente non lo saprete finché non arrivate alle ultime pagine, e allora capirete con quanta astuzia è stata tesa la trappola. L’ho adorato. Lo rovinerò? È possibile, certo. È un’opera molto delicata, di cui Eilis è il centro attento e immobile. Se non altro non dovrò smantellare la sua complessa architettura, perché non ce l’ha, quindi potrei anche cavarmela. Quando leggerete questa rubrica avrò già cominciato a lavorarci, e se avete una figlia di dieci anni con ambizioni di attrice, le conviene cominciare a fare pratica dell’accento irlandese. Stando alla mia esperienza di cinema, le riprese cominceranno intorno al 2020, se nel frattempo non sarà andato tutto a monte.

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Le notti del sabato sera**

In un certo senso, ho letto per lavoro anche Live from New York, una storia orale del Saturday night live. Da qualche mese ho un’agente americana, una signora deliziosa e intelligente di cui ho ignorato ogni idea, suggerimento e richiesta dal momento in cui ha accettato di rappresentarmi. Comunque, mi ha consigliato il libro di Tom Shales e James Andrew Miller, e dal momento che non le faccio guadagnare un centesimo ho pensato che potevo almeno seguire i suoi consigli di lettura. Tra l’altro, sono sicurissimo che anche lei se dovesse scegliere tra l’una e l’altra cosa, fare soldi o azzeccare i consigli, preferirebbe i consigli. È questo che la rende speciale.

Ho letto il libro anche se non avevo mai visto un solo minuto del Saturday night live, almeno prima dell’imitazione di Sarah Palin fatta da Tina Fey nel 2008. Il programma non è mai andato in onda in Gran Bretagna , quindi non avevo idea di chi fossero quelle persone. Will Ferrell? Bill Murray? Adam Sandler? Eddie Murphy? John Belushi? Chris Rock? Dan Aykroyd? Ma che carini, allora anche voi americani avete i vostri divi della tivù. E magari non avete mai sentito nominare Pat Phoenix.

Quando è fatta bene, come in questo caso, la storia orale è decisamente imbattibile come forma di saggistica: appassionante, leggera, con il continuo alternarsi delle voci che salva dalla monotonia. Please kill me di Legs McNeil, il libro di George Plimpton su Edie Sedgwick o Working di Studs Terkel sono libri a cui spero di tornare, un giorno, quando avrò letto tutto il resto. Live from New York probabilmente è appena un po’ troppo lungo per chi non conosce il programma televisivo, ma se volete imparare qualcosa sul mestiere dello sceneggiatore e dell’attore, qui avrete da scegliere.

Mi tornano sempre in mente le parole di Lorne Michaels, il padre del Saturday night live: “La quantità di cose che devono combinarsi perché venga fuori qualcosa di buono è sconvolgente. Ed è un miracolo che ogni tanto spunti qualcosa di buono. Quando sei giovane, pensi che basta conoscere la differenza tra bello e brutto: ‘Il mio sarà un lavoro fatto bene, perché lo preferisco a uno fatto male’”.

L’osservazione di Michaels contiene una terribile verità: a un certo punto della vita, pensi che il tuo gusto impeccabile ti salverà. Con il passare degli anni, capisci che le cose sono un po’ più complicate.

Una colonna sonora

Mentre leggevo Live from New York, mi sono reso conto che G.E. Smith, il direttore musicale del programma, era lo stesso G.E. Smith che era seduto accanto a me su un volo da New York a Londra, nel 1976 o 1977. Io tornavo al college dopo essere andato a trovare mio padre e Smith era in tournée con Daryl Hall e John Oates, che sedevano in prima classe. Era il primo musicista che conoscevo, e con me fu simpatico e generoso nel dedicarmi il suo tempo. Mi parlò in termini entusiastici di Abandoned luncheonette di Hall & Oates, un album folk-soul di una bellezza struggente registrato molto prima del loro periodo disco (anche quello piuttosto interessante, in realtà) . Lui se la sarà dimenticata, ma quella conversazione contribuì ad alimentare in me l’idea, allora appena nata, che non volevo trovarmi un vero lavoro. Fu un volo che diede il via a molte cose, ora che ci penso. Mi piace ancora molto, Abandoned luncheonette.

*Traduzione di Diana Corsini.

Internazionale, numero 871, 5 novembre 2010*

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