01 dicembre 2014 16:03

Se temete di non saper più distinguere ciò che conta veramente vi consiglio di cercare su un social network frasi come “Whole Foods ha finito…” o “Da Whole Foods non c’è più…”. E troverete una serie di clienti della nota catena di supermercati biologici che hanno davvero perso il senso della prospettiva.

“Che delusione, il mio negozio di zona non ha né le carote viola né le patate blu”, ho letto recentemente in un tweet contenuto in una lista di BuzzFeed intitolata “Ventitré problemi reali da primo mondo che la gente ha avuto da Whole Foods”. Ci scherzo sopra, ma so che capita anche a me di arrabbiarmi quando qualcosa va storto nella mia vita, così privilegiata da tanti punti di vista. Ma forse non dovremmo sentirci in colpa: a causa di un’anomalia del nostro cervello, c’è un buon motivo per cui ci mettiamo più tempo a superare i piccoli contrattempi che i grandi problemi.

Questa anomalia è stata chiamata “il paradosso della regione beta” (potrei spiegarvi perché, ma suppongo che il vostro tempo, come la disponibilità di carote viola, sia limitato) ed è stata descritta per la prima volta dieci anni fa dallo psicologo Dan Gilbert e dai suoi colleghi in un articolo intitolato La strana longevità dei piccoli contrattempi. Quando ci succede qualcosa di veramente grave, si innescano dei meccanismi che ci aiutano a superarlo.

Per usare uno degli esempi di Gilbert: se una donna scopre che il marito la tradisce, può cercare di razionalizzare e convincersi che si tratta solo di una curiosità che lui doveva togliersi o di una crisi dalla quale il loro rapporto uscirà rafforzato. Se invece l’unica colpa del marito è aver lasciato i piatti sporchi nel lavello, le sue difese cognitive non scattano e la rabbia per quella piccola mancanza le ribollirà dentro più a lungo.

Quasi tutti diamo per scontato che più un evento è traumatico e più a lungo durerà il nostro dolore. Ma l’articolo di Gilbert dimostra che questa ipotesi spesso è sbagliata: i partecipanti al suo studio rimanevano scossi più a lungo se vedevano insultare qualcuno e meno se erano loro stessi a ricevere gli insulti (fatto relativamente più grave). Secondo alcuni esperti, le persone che soffrono di attacchi di panico quando subiscono un trauma si riprendono prima di quelle che non ne soffrono.

È uno schema che ricorre spesso nella vita. Se abbiamo un dolore acuto corriamo subito dal dottore, mentre se è più debole e persistente forse non ci andiamo. Le persone trovano più facilmente il coraggio di affrontare gli interventi molto dolorosi invece di quelli più leggeri, proprio perché hanno paura di tirarsi indietro al momento dovuto. Gilbert e i suoi colleghi arrivano a chiedersi se, dovendo guidare dopo una festa, sia meno pericoloso ubriacarci di martini che sorseggiare due bicchieri di vino: il rischio c’è in entrambi i casi, ma nel secondo è meno probabile che i nostri amici insistano per accompagnarci.

Perciò, anche se è sciocco infuriarsi per le piccole cose, il paradosso della regione beta ci ricorda che la sofferenza non segue regole semplici: non esiste uno standard unico per giudicare eccessiva la reazione di qualcuno, di fronte a qualsiasi cosa. Tutto può farci stare male. O come è stato saggiamente osservato: “La cosa peggiore che ci è mai successa è la cosa peggiore che ci è mai successa”. E, come suggerisce il paradosso della regione beta, non è detto che sia la cosa peggiore a farci soffrire più a lungo.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it