13 febbraio 2015 10:10

Di norma dovreste diffidare di chiunque vi offra consigli su qualsiasi cosa, me compreso, e compreso questo stesso consiglio. Ma visto che la stucchevole saga annuale del consumismo nota con il nome di festa di San Valentino è di nuovo in arrivo, mi sento in dovere di ricordarvi che dovreste diffidare in particolare di chiunque vi offra consigli sull’amore o sui rapporti di coppia. Nessun altro sottogenere di consulenza sembra così soggetto a confusione mentale, conflitto d’interessi e saggezza popolare mascherata da scienza.

Tutti hanno un secondo fine. È molto probabile che chiunque dispensi consigli sentimentali sia una persona profondamente insicura, un’evangelista delle scelte di vita che ha preso una decisione (quella di sposarsi giovane o di aspettare, di avere figli, di rimanere single e così via) e non è sicura che sia quella giusta. Questa incertezza si manifesta nel disperato tentativo di convincervi che è la scelta migliore anche per voi.

Da uno studio del 2013 è emerso che sia le persone single sia quelle accoppiate si schierano sempre dalla parte di chi condivide il loro status, anche in contesti in cui è irrilevante, come quando si tratta di decidere per chi votare o chi assumere. È significativo che questa propensione è maggiore nelle persone che considerano permanente la propria situazione. Più ti senti condannato a rimanere single o intrappolato in un matrimonio, osservano i ricercatori, più insisti nel sostenere che “la tua situazione attuale è quella ideale, non solo per te, ma per tutti”.
Il fenomeno opposto (ma non meno irritante) si verifica quando il consiglio riflette le scelte che la persona che lo offre non ha fatto, ma vorrebbe aver fatto. Un esempio classico, secondo me, è quello di Susan Patton, nota anche come “La mamma di Princeton”, che un paio di anni fa è finita sui giornali per aver invitato le studentesse delle prestigiose università della Ivy league a scegliersi un marito tra i compagni di corso prima della laurea. Perché? A quanto pare, perché lei vorrebbe averlo fatto. Sarebbe stata più felice? Ovviamente non ha modo di saperlo. È importante? Ma come, nel mondo illogico dei consigli sulle questioni di cuore? Vogliamo scherzare?

Dovreste anche diffidare di chi assume il tono di chi le ha viste tutte e parla dell’amore come una guerra o un mercato, lasciando intendere che siete terribilmente ingenui se pensate che sia qualcosa di più di un cinico gioco di potere. I segni rivelatori sono la citazione di libri come Le regole di Ellen Fein e Sherrie Schneider o l’allusione alla psicologia evoluzionistica. Spesso quel tono vissuto, che implica la rassegnazione di chi parla ad affrontare la dura realtà della vita, serve a compensare la mancanza di prove concrete.

Dalle ultime ricerche sembra che il nostro “valore di mercato” come partner (se siamo più o meno belli, carismatici o ricchi della media) influisca sorprendentemente poco sull’attrazione che esercitiamo: conta solo al livello di prima impressione, ma appena le persone cominciano a conoscersi entrano in gioco gusti più specifici. E dato che la stragrande maggioranza dei rapporti sentimentali non comincia due minuti dopo che le persone si sono incontrate, ne consegue che il valore di mercato non conta molto: quello che conta è passare un po’ di tempo con tante persone diverse e arrivare a conoscerle. Questo è anche il motivo per cui non dovremmo andare in cerca di una relazione stabile usando siti online che si concentrano solo sul “valore di mercato”.

Ma forse il motivo più importante per diffidare dei consigli sulle questioni di cuore, almeno per quanto riguarda i rapporti a lungo termine, è che la “compatibilità”, il santo Graal di tutti gli esperti del settore, non è poi così indispensabile. Per quanto i siti di appuntamenti si vantino dell’unicità dei loro questionari e dei loro algoritmi per abbinare le personalità, non è affatto dimostrato che avere molti interessi o tratti del carattere in comune con qualcuno aumenti le probabilità che il rapporto funzioni. E non perché “gli opposti si attraggono”, ma semplicemente perché non è molto importante che i nostri interessi e la nostra personalità coincidano con quelli di un possibile partner. Come spiega lo psicologo dell’università del Texas Ted Huston nel libro di Tara Parker-Pope For better: the science of a good marriage, sulla base del suo studio longitudinale su un campione di coppie sposate, la “compatibilità” funziona solo come segnale di allarme: quando le persone cominciano a usare questa parola, e a preoccuparsene, è segno che il rapporto è in difficoltà. Quello che conta, come sempre, è solo l’impegno di entrambi a farlo funzionare, e avere le qualità necessarie per riuscirci.
Tra parentesi, questo è anche il succo dell’articolo “Le 36 domande che portano all’amore”, pubblicato il mese scorso dal New York Times e messo scherzosamente in pratica – con risultati divertenti e imbarazzanti – dai miei colleghi del Guardian Bim Adewunmi e Archie Bland. Quelle domande “funzionano”, in un certo senso, non perché le risposte rivelino preferenze condivise, ma perché il fatto stesso di dover rispondere fa emergere i punti deboli di entrambi, e quindi stimola l’affetto reciproco.

Potrei anche andare avanti, ma preferisco fermarmi qui. Anzi, posso aggiungere un’altra cosa? La causalità inversa non funziona. È vero che alzare gli occhi al cielo indica che il rapporto è in crisi, perché è un segno di disprezzo, ma è pur vero che se disprezzate il vostro compagno evitare di alzare gli occhi al cielo non cambierà la situazione.

Avrete capito qual è il punto essenziale: siete perfettamente giustificati se nei prossimi giorni e per tutto il resto dell’anno ignorerete il diluvio di consigli sulle questioni di cuore che vi daranno. Vi prego piuttosto di concentrarvi sul vero scopo della festa di San Valentino, che ovviamente è spingervi a fare shopping.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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