03 maggio 2016 11:11

Non ero particolarmente predisposto a innamorarmi di Algorithms to live by, il nuovo libro di Brian Christian e Tom Griffiths che consiglia di affrontare le decisioni della vita con la mentalità di un informatico. Con il massimo rispetto per gli informatici che conosco, il loro è un lavoro che evoca cliché non certo associati a un sano equilibrio tra lavoro e vita privata, alla capacità di stabilire rapporti sociali e a una buona tolleranza della luce solare.

Basta aprire una pagina a caso, per trovare conferma di questo stereotipo. Lo sapevate per esempio che, in base ai princìpi della matematica, arrivati a 26 anni dovreste sposare la prima persona che incontrate e vi piace di più di tutte quelle che avete frequentato fino a quel momento? (Questo presuppone che abbiate cominciato a cercare qualcuno da sposare a 18 anni e vogliate trovarlo entro i 40).

Naturalmente, nessuno potrebbe mai vivere in modo così matematico, neanche un informatico di professione, tuttavia, alla fine del libro mi sono convinto. Non perché mi piaccia l’idea di vivere come un vulcaniano iperrazionale, ma perché gli algoritmi dei computer potrebbero rivelarsi un modo sorprendentemente utile per accettare i compromessi della vita reale.

Se passiamo tutta la vita a fare provini a compagni, amici e posti di lavoro, non l’avremo certo spesa bene

L’informatica, dicono Christian e Griffiths, è tutta una questione di prendere atto di certi limiti. Chiediamo ai computer di fare milioni di cose complesse alla velocità del fulmine, ma le macchine hanno una capacità di elaborazione limitata, quindi bisogna sempre scendere a compromessi.

Quando è meglio essere veloci invece che precisi, o viceversa? Quand’è che un computer dovrebbe smettere di cercare la soluzione perfetta a un problema difficile e accontentarsi di una più approssimativa? In fondo, queste sono le sfide fondamentali della vita.

Quando dobbiamo smettere di cercare un partner, un appartamento, un gruppo di amici, una carriera o un pub ideale? Vorremmo fare la scelta migliore possibile, ma raccogliere dati ha un costo. Se passiamo tutta la vita a fare provini a compagni, amici e posti di lavoro, non l’avremo certo spesa bene.

Le soluzioni algoritmiche variano a seconda delle situazioni. Quando ci troviamo a un bivio, la cosa migliore da fare è scegliere l’opzione con il più alto “margine superiore di confidenza” – cioè quello che probabilmente darà risultati migliori in futuro (anche se rischia maggiormente di rivelarsi un disastro). Un altro metodo è quello che gli addetti ai lavori chiamano “rilassamento dei vincoli”, utile soprattutto se ci troviamo davanti a interrogativi del tipo : “Che cosa faresti se non avessi paura, o se non fosse una questione di soldi?”. Dobbiamo esaminare la situazione, rimuovere uno dei vincoli – i soldi, il tempo, la disapprovazione della famiglia – e chiederci che cosa faremmo. La risposta potrebbe aiutarci a prendere una decisione nel mondo reale.

Capacità di elaborazione

Ma forse il concetto di più immediata utilità che propongono gli autori è quello di “cortesia computazionale”. Quando stiamo prendendo un appuntamento con qualcuno, ci sembra educato lasciargli decidere a che ora e dire che non ci importa in quale ristorante andremo. Ma rifiutarci di esprimere i nostri desideri impone un costo computazionale all’altra persona: adesso dev’essere lui o lei a fare la scelta (cercando di indovinare le nostre preferenze). Negli esseri umani, come nei computer, prendere decisioni mette alla prova la capacità di elaborazione. Non chiedete troppo alla vostra, ma non costringete neanche gli amici a usare la loro al vostro posto.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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