14 giugno 2016 13:28

La prima volta che sono andato a un ritiro di meditazione silenziosa, qualche anno fa, ero terrorizzato all’idea che quell’esperienza si rivelasse insopportabile. L’ultima volta che ci sono andato, la settimana scorsa, ho avuto un problema diverso: ero abbastanza sicuro che sarebbe stato molto piacevole e rilassante. Vi chiederete perché lo considero un problema. Adesso ve lo spiego.

È stato la sera del primo giorno, mentre guardavo il sole tramontare all’orizzonte, godendomi il silenzio nell’aria, che mi è venuto in mente: “Accidenti, tra qualche giorno sarà tutto finito!”. Secondo un vecchio proverbio, esistono due modi per essere infelici. Uno è non ottenere quello che si desidera. L’altro è ottenerlo. Il problema della felicità è che l’idea che possa finire ci intristisce.

La perdita della magia

Ero nel posto giusto per fare una simile riflessione, perché di solito questo tipo di introspezione è attribuito al buddismo, e la meditazione aiuta. Ma appartiene anche a molte altre tradizioni: “desiderare” è per tutti un fenomeno complesso. Pensiamo che, se desideriamo qualcosa, quando finalmente l’avremo ottenuta saremo soddisfatti. Ma non funziona quasi mai così. O la cosa non è all’altezza delle nostre aspettative, oppure lo è e abbiamo il terrore di perderla. O, peggio ancora, a volte quello che vogliamo disperatamente non è la cosa in sé, ma la novità, e per definizione, non possiamo continuare ad averla dalla stessa persona o dallo stesso oggetto.

In un recente saggio intitolato Getting what we want isn’t what we really want (Ottenere quello che vogliamo non è quello che vogliamo veramente), il blogger David Cain ricorda l’esperienza dolceamara di quando da adolescente comprava un nuovo cd. “Ogni volta che lo sentivo ero terrorizzato, perché sapevo che a ogni ascolto avrebbe perso la sua magia”.

I maggiori profitti si realizzano spingendo i clienti a non smettere mai di desiderare

Chiaramente il problema non sono le cose specifiche che vogliamo e ancora non abbiamo. È piuttosto il desiderio stesso. Dalle ultime ricerche dei neuroscienziati Jaak Panksepp e Robert Sapolsky è emerso che il meccanismo della ricompensa del nostro cervello è fatto in modo da darci una scarica di dopamina non quando otteniamo quello che vogliamo, ma mentre stiamo cercando di ottenerlo. La chimica ci ricompensa se manteniamo uno stato di insoddisfazione.

Dal punto di vista evoluzionistico, non è una scoperta sorprendente: chi è sempre irrequieto riesce meglio a propagare i suoi geni di chi è tranquillo e soddisfatto. E il consumismo aggrava la situazione: i maggiori profitti non si fanno soddisfacendo completamente i propri clienti, ma facendo in modo che non smettano mai di desiderare.

Secondo i veri buddisti, la soluzione è smettere del tutto di desiderare. Un’alternativa immediata più pratica è semplicemente ricordare che i desideri possono essere fuorvianti. Sembra sempre che il prossimo piatto prelibato, la prossima scelta di lavoro o il prossimo rapporto sentimentale finalmente, come dice Cain, “ci darà la gratificazione e il piacere sconfinato” che ci aveva falsamente promesso. In realtà, è molto più gratificante “capire i nostri desideri che non affannarci a soddisfarli”. Quello che ci serve sul serio è imparare a interrogarci su che cosa vogliamo veramente.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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