30 agosto 2016 11:52

Uno dei misteri dell’era digitale è che siamo in grado di costruire macchine che si guidano da sole e di far twittare gli astronauti dallo spazio, ma non abbiamo ancora trovato un modo decente per organizzare le foto nel nostro smartphone. In realtà, non è proprio un mistero: è che ne abbiamo semplicemente troppe. Prima dell’era digitale, quando nessuno possedeva più di qualche migliaio di istantanee, aveva senso organizzarle in una serie di album. Poi sono arrivati i programmi che cercavano di imitare gli album, e per un po’ hanno funzionato. Ma adesso che è normale tornare da una gita di un giorno con cento fotografie, abbiamo raggiunto il limite.

Naturalmente, lo stesso discorso vale per le email, i documenti elettronici, i siti web che abbiamo selezionato e così via: ognuno di noi dovrebbe gestire un volume di dati che un tempo avrebbe tenuto occupato a tempo pieno un intero ministero. “Passo giornate a sperimentare nevrotici sistemi di catalogazione, tediosi processi di backup e di gestione degli album”, ha scritto di recente Brian Chen sul New York Times, ma alla fine è arrivato alla conclusione che l’unico modo per organizzare le foto è rinunciarci. Meglio caricarle tutte, anche quelle mosse e venute male, sul servizio online meno insopportabile, per esempio Google Photos, e poi affidarsi alla sua funzione di ricerca per trovare quello che ci serve quando ci serve.

Per quelli di noi che sono maniaci dell’ordine, è una dura verità che dobbiamo imparare da capo continuamente: voler trattare i nostri “possedimenti” digitali come quelli fisici è una battaglia persa. Possiamo passare una vita a cercare di tenerli in ordine ma, come osserva Chen, la spesa non vale l’impresa: ci metteremmo troppo tempo, e ormai la tecnologia dei sistemi di ricerca funziona così bene che sprecheremmo ore preziose.

Cancello le email dallo spam e dal cestino, non perché mi serva lo spazio ma perché mi dà fastidio l’idea che siano ancora lì

Per lo stesso motivo, dovremmo rinunciare alla nostra complessa gerarchia di cartelle e sottocartelle di email e usare un unico archivio, mettendo tutti i documenti in un’applicazione come Evernote. È arrivato il momento di accettare il caos anche se all’inizio non sarà facile, se siamo amanti dell’ordine. Io sono uno che cancella regolarmente le email dalla cartella dello spam e dal cestino, non perché mi serva lo spazio ma perché mi dà fastidio l’idea che siano ancora lì.

E rinunciare al desiderio di ordine non è utile solo nel mondo digitale: si può applicare anche a quello fisico. Se state a sentire persone come Marie Kondo e gli altri evangelisti della vita ridotta all’osso, probabilmente arriverete a pensare che in un mondo consumista come il nostro la chiave della serenità sia liberarsi di più cose possibile. Ma poi anche quella diventa l’ossessione di creare l’ambiente giusto, mentre il vero “zen” consiste nel trovare la pace mentale in qualsiasi ambiente.

In un loro recente articolo (che ho trovato su Science Of Us), alcuni neurologi di Lisbona raccontano di una donna di 65 anni che a causa di un ictus aveva temporaneamente perso il senso del “possesso”. Niente di quello che aveva, compresi i suoi gatti, le sembrava più suo, anche se razionalmente sapeva che lo era. Quella sensazione era sparita dopo qualche giorno, ma non l’aveva resa infelice, anzi era stata piacevole. Invece di cercare a tutti i costi di organizzarci e di liberarci del superfluo, forse dovremmo chiederci quanta disorganizzazione siamo in grado di sopportare.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Oliver Burkeman sarà al festival di Internazionale a Ferrara dal 30 settembre al 2 ottobre 2016.

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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