04 ottobre 2016 14:19

Ogni volta che mi sento sopraffatto dal lavoro o da altre responsabilità, il mio primo istinto è quello di fare un piano dettagliato. Questo in genere significa impormi delle regole rigidissime. Mi alzerò un’ora prima! Non guarderò Twitter! Anche se dopo anni di esperienza so bene che per me è impossibile scrivere per più di cinque ore al giorno, questa volta darò prova di una volontà di ferro e arriverò a otto!

Fa quasi tenerezza vedere quanto io sia sinceramente convinto che funzionerà, anche se non ha mai funzionato. Quello che presumo sia il mio pozzo senza fondo di autodisciplina, in realtà non supera i 30 centimetri, e i miei sforzi per cambiare la situazione con la pura forza di volontà finiscono sempre con una serie di recriminazioni, mentre io nel confronto interpreto entrambe le parti in campo.

Negli ultimi anni abbiamo sentito molto parlare dell’importanza di inculcare la “grinta” nei bambini, ma molto si è detto anche dei limiti di questo metodo. Al livello psicologico, sono piuttosto scarse le conferme che la grinta possa cambiarci la vita. Senza contare che è abbastanza disonesto insinuare che per avere successo, anche se sei nato povero, basta mettercela tutta e non darsi mai per vinti.

Tuttavia, non mettiamo quasi mai in discussione l’idea implicita in questa teoria secondo cui la capacità di autodisciplina è un tratto positivo del carattere. Perfino i genitori di più larghe vedute, che permettono ai loro figli di inseguire i propri sogni, preferirebbero che lo facessero in modo autodisciplinato.

Inseguire i sogni
Poche persone hanno dato importanza all’avvertimento dello psicologo americano Jack Block, che ha condotto un fondamentale studio su cento bambini seguendoli per 30 anni e ha scoperto che avere troppo poco autocontrollo rende impulsivi, inclini alla distrazione e a correre rischi eccessivi, ma anche che averne troppo può renderci infelici.

Come fa notare l’esperto di educazione progressista Alfie Kohn nel suo saggio Why self-discipline is overrated (Perché l’autodisciplina è sopravvalutata), il bambino che fa i compiti appena gli vengono assegnati sembra un modello di virtù, ma forse la verità è che “vuole – o per meglio dire ha bisogno di – toglierseli subito per placare l’ansia”. Odia lasciare le cose in sospeso o ha la sensazione che il suo valore dipenda dai risultati che ottiene.

Questo a volte è un buon modo di portare a termine tutto il lavoro che abbiamo (tranne che quando ci si ritorce conto come succede a me), ma non per vivere bene. Apprezziamo quelli che dimostrano di essere “intrinsecamente motivati”, ma a volte questo significa semplicemente che sono riusciti a interiorizzare il “sergente” della società. Li definiamo “determinati”, ma in realtà a determinare il loro comportamento sono gli ordini che urla il loro io.

Quando i miei tentativi di essere disciplinato falliscono, torno a leggere un post che la maestra buddista Susan Piver scrisse nel 2010 intitolato “Riuscire a fare le cose senza essere troppo cattivi con se stessi”, nel quale racconta i suoi frustranti tentativi di applicare un programma inflessibile e il metodo che poi ha scelto di seguire: chiedersi cosa le piacesse fare. Può suonare come autoindulgenza eccessiva (o, agli occhi di qualsiasi maniaco della disciplina, terrificante). Ma indovinate un po’? “Alla fine facevo tutte le cose che di solito mi impongo. La mia giornata si svolgeva esattamente come quelle in cui riuscivo a essere ‘disciplinata’. Solo che così mi sembrava di farlo senza nessuno sforzo”. Forse allora nemmeno voi siete dei fannulloni incapaci di organizzare il vostro tempo saggiamente. Che ne dite?

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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