22 gennaio 2013 12:47

Fanno pulizia più o meno a fondo e ognuno nel suo stile. Ma è un primo passo. I partiti politici tanto disprezzati e poco amati (appena il 5 per cento di indice di fiducia da parte dei cittadini) riscoprono i vantaggi elettorali della virtù eliminando i candidati meno presentabili dalle loro liste, depositate entro le 20 di lunedì 21 gennaio. O almeno le personalità i cui conti in sospeso con la giustizia sono più pesanti (corruzione, concussione o associazione a delinquere).

Secondo il quotidiano La Repubblica, in questa legislatura erano circa 80 i parlamentari con pendenze con la giustizia (condannati in primo grado, rinviati a giudizio o in attesa di processo). Il caso più eclatante è quello di Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’economia del governo Berlusconi e uomo forte del Popolo della libertà (Pdl) in Campania, una delle regioni chiave di queste elezioni. Fino all’ultimo l’uomo sospettato di legami con la Camorra ha cercato di ottenere un posto sicuro nella lista del Pdl. “Se non sono eletto andrò in prigione. Vi rovinerò!”, ha minacciato invano”Nick o’ mericano”, come viene chiamato Cosentino nel suo feudo di Casal di Principe.

Conversione tardiva all’onestà da parte di un uomo che è stato condannato a quattro anni di prigione per frode fiscale e che è sotto processo per prostituzione minorile e concussione? Difficile pensarlo. In realtà Silvio Berlusconi si è convinto, sondaggi alla mano, che la presenza di candidati sospettati di corruzione o condannati possa costare alla sua coalizione “un milione di voti”. E così, con la morte nel cuore, ha tagliato i “rami secchi”. Anche se ovviamente queste regole così drastiche non verranno applicate a se stesso.

Questa decisione non è stata senza conseguenze, in un partito che ha sempre fatto della presunzione di innocenza un dogma e il pilastro della longevità politica di Berlusconi. Questa rivoluzione culturale all’italiana (“Là dove non passa la scopa, la polvere non se ne va da sola”, diceva Mao, uno specialista di purghe) ha fatto storcere più di una bocca e lascia presagire futuri regolamenti di conti in un partito sempre più diviso.

In Liguria Claudio Scajola, il ministro sotto processo con l’accusa di aver preso tangenti per l’acquisto di un appartamento con vista mozzafiato sul Colosseo, si fa da parte dopo vent’anni di attività al fianco di Berlusconi. Così come ha fatto in Sicilia Marcello dell’Utri, sul quale aleggia la minaccia di una condanna a sette anni di prigione per concorso esterno in associazione mafiosa. Entrambi sono fra i fondatori del partito Forza Italia, la formazione politica con la quale Berlusconi è arrivato per la prima volta al potere nel 1994.

Anche il Partito democratico ha cercato di eliminare gli “impresentabili”, come vengono chiamati dalla stampa italiana. Così quattro parlamentari, peraltro confermati dagli elettori in occasione delle primarie, sono stati cancellati dalle liste elettorali. Anche in questo caso la conversione assume un carattere tardivo. Oltre ai sondaggi la scelta si spiega con la concorrenza del partito Rivoluzione civile dell’ex giudice antimafia del tribunale di Palermo Antonio Ingroia, e del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, che ha fatto della denuncia della corruzione dei parlamentari uno dei suoi cavalli di battaglia.

Ancora più radicale, Mario Monti ha fatto ricorso a Enrico Bondi, il “salvatore”della Parmalat sull’orlo del fallimento nel 2003. Sedotto dal suo rigore al punto da averlo incaricato di controllare le spese dello stato, il Professore gli ha chiesto di controllare che i candidati abbiano un curriculum immacolato.

Traduzione di Andrea De Ritis.

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