28 novembre 2016 11:01

Il 4 giugno 2005 alla redazione di Le Monde era un pomeriggio caldo, nervoso e relativamente poco attivo. All’Eliseo Jacques Chirac e Domenique de Villepin, che era stato appena nominato primo ministro dopo le dimissioni di Jean-Pierre Raffarin, stavano formando il governo. In boulevard Blanqui, sede del giornale, aspettavo i risultati delle trattative. “E se facessimo un giro di chiamate ai vari ministri per sapere chi rimane e chi se ne va?”, aveva proposto la caposervizio.

In momenti del genere è molto facile parlare con un ministro, ex o futuro. Di solito hanno il cellulare a portata di mano, pronti a rispondere nel caso venga annunciata la loro nomina o la loro sostituzione. François Fillon, ministro dell’istruzione nel governo dimissionario aveva risposto subito. Aveva appena ricevuto la telefonata di Chirac che gli annunciava di essere stato escluso dalla nuova squadra. Era amareggiato. Io gli chiesi solo una cosa: “Come va?”.

La sua risposta era stata immediata: “Male. Chirac mi ha chiamato. Non ha detto una sola parola sul mio lavoro. Quando verrà l’ora di fare il suo bilancio non si salverà nulla se non le mie riforme. Cacciandomi dal governo hanno fatto di me il futuro direttore della campagna elettorale di Nicolas Sarkozy”. Avevo riattaccato stupito ed eccitato per l’informazione: “Grazie François”. In futuro Fillon parlerà di uno scatto di “rabbia e di vanità” ma non smentirà mai le sue parole.

La scaltrezza dell’eterno secondo
Bisogna riconoscerlo, fino ad allora Fillon era sfuggito ai radar dei giornalisti politici, più occupati a cacciare le grandi belve feroci che la piccola selvaggina. Eterno secondo, lo avevamo conosciuto tra i collaboratori dell’ombroso e statalista Philippe Séguin, poi del mellifluo e liberale Edouard Balladur e, infine, del bonario e scaltro Chirac. Provinciale discreto, figlio di notaio, cattolico appassionato di corse automobilistiche e di giacche Barbour, deputato dal 1981, era considerato come il perfetto politico calcolatore e prudente, che fa avanzare con cautela i suoi pedoni sulla scacchiera. Insomma, il piccolo François non occupava le prime pagine dei giornali.

Ed ecco che all’improvviso si schierava per colui che gli somigliava di meno, quel Sarkozy, parigino e volubile, cinico e duro, provocatore e appassionato di ciclismo. Di colpo Fillon si era trasformato in un conquistatore! Basta con i giochini, basta con le tattiche prudenti e ragionate. Nell’arco di un pomeriggio, quel 4 giugno 2005 si propose come abile stratega e pronto a giocare il tutto per tutto. Il posto di direttore della campagna elettorale di Nicolas Sarkozy sarebbe stato un trampolino per arrivare a essere primo ministro, e sognare l’Eliseo.

Definendolo ‘collaboratore’, Sarkozy lo ha sollevato da qualunque dovere di solidarietà nei confronti della loro passata azione comune

Indubbiamente dal 2005 al 27 novembre 2016, quando è diventato il candidato dei Républicains (nati dalle ceneri dell’Ump) alle elezioni presidenziali, la vita non è stata solo come il rettilineo degli Hunaudières sul circuito di Le Mans. L’esperienza come primo ministro è stata per lui un inferno, come per tutti i suoi predecessori (chi dice il contrario è un masochista o un bugiardo o entrambe le cose). Il super presidente Sarkozy ha fatto di tutto per sminuirlo. Ma Fillon ha tenuto duro, sviluppando le doti di coraggio e di sopportazione che oggi gli sono riconosciute. E definendolo “collaboratore”, l’ex presidente della repubblica lo ha di fatto sollevato da qualunque dovere di solidarietà nei confronti del bilancio, peraltro contrastato, della loro azione comune.

Fillon ha dovuto anche sopportare gravi ingiustizie, come quando nell’autunno del 2012 non è riuscito a conquistare la presidenza dell’Ump (annunciata da tutti i sondaggi), sebbene oggi la frode del suo avversario, Jean-François Copé, sia stata accertata. Il candidato dei Républicains si è mostrato determinato ma imperturbabile, finendo per trasformare la sua immagine di politico accomodante e tranquillo in quella di un combattente tenace e ferito. Da questa avventura, colui che forse sarà l’ottavo presidente della quinta repubblica nel maggio 2017 ha tratto due insegnamenti: non dare mai fiducia ai sondaggi e rivolgersi ai francesi anziché ai mezzi d’informazione. Finora sembra aver funzionato.

(Traduzione Andrea De Ritis)

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