01 settembre 2015 16:57

1. Los Refusè, Guardarsi dall’alto
A pensarci Montà, provincia di Cuneo, non può che significare salita, e quindi è ideale per cose in levare. Questa sorta di folk-reggae-patchanka del Roero, molto terrigna, funziona bene quando (nell’album Testoni) si muove con circospezione, con sparuti accordi di chitarrine e organetti elettrici trasportati nei ciabot, piccole case nei vigneti, per staccarsi dalla terra e levarsi sulle nuvole, “per essere corretti e non rimpiangere / per non puzzare di posacenere”. Altre volte tornano a essere ragazzi da festa campestre. Però intanto sanno svolazzare.

2. Luigi “Grechi” De Gregori, Il fuoco e la danza
In Yellow moon dei Neville Brothers c’era una versione da brividi di Will the circle be unbroken, inno cristiano già rifatto da molti tra cui Bob Dylan. Grechi, il fratello roots di Francesco De Gregori, ha imbastito questa versione italiana di ruvida bellezza, inclusa nell’album Tutto quel che ho 2003-2013 con cui il valente autore e interprete tutto arpeggi, tabacchi e cappotti, con imprinting da Folkstudio e tendenza randagia, prova ad autoantologizzarsi, a trovare un pubblico nuovo e a spezzare il cerchio d’ombra da bibliotecario beat.

3. 3chevedonoilrE, Largo al giovane
Soldatini e precari, bamboccioni e perculati dalla sorte, dai massimi sistemi, dai padri e dalle sorelle: un inno alla gioventù. Ma frullata, deresposabilizzata, martellata dalla folle energia di questa banda romana, chitarra basso batteria e tensione morale (titolo dell’album: Un uomo perbene) ma anche un po’ mattocchia, con standard alti nella scrittura musicale consapevolmente, anacronisticamente articolata (a volte sembra Rino Gaetano a volte Elio e le Storie Tese a volte i Pooh prima maniera) in power ballad poco garbate e molto italiane.

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Questa rubrica è stata pubblicata il 28 agosto 2015 a pagina 81 di Internazionale, con il titolo “Ciabot generations”. Compra questo numero | Abbonati

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