07 ottobre 2015 15:54

1. Jesse Malin, Here’s the situation
Ballata-briefing buona per fare il punto sull’America oggi, con intorno un album, Outsiders, blindato in un solido rock che viaggia per ghetti e derelitti (You know it’s dark when atheists start to pray, sentenzia un’altra ballata). Apparentemente siamo in presenza di un top contender nella scalata al vertice della Eredi Springsteen spa, con quella credibilità tipica dei quasi cinquantenni che non hanno mai del tutto sfondato. Una mezza età che ancora può dare molto se la sai dipingere con spruzzi di Edward Hopper e leccatine di chitarra randagia.

2. O.r.k., Pyre
Progressioni ritmiche matematiche, svolazzi di chitarra prog, vocione death metal in lontananza come un licantropo che si sbrana il finale. Che botte, se incontri questo supergruppo che sembra inventato da un “generatore casuale di band mezze italiane degne di Pitchfork”: il batterrorista dei King Crimson, il chitarribile di Marta Sui Tubi, il bassone dei Porcupine Tree e l’ipse dixit Lef. E Inflamed rides, un album tutto di sgroppate difficili con cui ’sti quattro cavalieri dell’heavy Maria disegnano il loro atlante illustrato di dissonanze avant-rock.

3. Lilies On Mars, Dancing stars
E tornano le cosmonaute della Londra accanto, le due che girellavano da tempo tra la nebulosa di Battiato (il paziente pigmalione siculo le accompagnava nei primi stadi del lancio dalla nativa Sardegna) e Marte. La loro odissea è al terzo album (Ago) e la loro psichedelia da astrosamanthe all’unisono si coagula in familiari morfologie pop, intorno all’orbita di un sound caldo e avvolgente; forse – ma non si sa se augurarglielo– ci vorrebbe qualche scossone spaziale alla Sandra Bullock, un po’ di gravity per movimentare la loro Space oddity.

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Questa rubrica è stata pubblicata il 25 settembre 2015 a pagina 122 di Internazionale, con il titolo “Aguas de Marte”. Compra questo numero | Abbonati

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