27 settembre 2016 19:24

1. Waldeck, Bello ciao
“Dammi l’ultimo bacio, per favore, dammelo… Il treno dei desideri partirà… Fai la tua valigia, caro vai…”. E poi via, marcetta trasognata con un senso malinconico e maccheronico dell’arrivederci. L’austriaco Klaus Waldeck, tastierista, compositore e artefice di una lounge sopraffina, torna alla carica con Gran Paradiso, con le esercitazioni linguistiche di La Heidi, formidabile vocalist viennese, e un mood come nel vecchio spot Martini con Charlize Theron che sfuggiva a uno pseudo-Onassis per perseguire una vita più dolce con uno pseudo-Mastroianni.

2. Thom Sonny Green, Vienna
Il batterista di una delle band più acclamate degli ultimi anni (gli Alt-J sono quasi i nuovi Radiohead) nel tempo libero fa altro: bricolage di suoni, musiche atmosferiche per film mai girati. Questa morbida sigletta è la prima di 21 tracce del suo esordio solista, High anxiety, che poi era anche il titolo di quel film in cui Mel Brooks giocava con gli stilemi di Alfred Hitchcock. Così fa anche Thom, gioca con colonne sonore di John Carpenter o Angelo Badalamenti, le sequenze oniriche del cloud rap, la geografia evocata dai suoni industriali o ambient.

3. Elektro Guzzi, Voix
Una lineup chitarra-basso-batteria per suonare musica techno in presa diretta può far pensare a un trucchetto da Scommettiamo che…?, ma questo power trio di austriaci mostra di far le cose per bene, e con il nuovo album, Clones, scolpisce groove energici e tesi che ricordano un po’ lo storico exploit dei Liquid Liquid (il cui Richard McGuire, poi diventato fumettaro di culto, scolpì una linea di basso che rimase nella coscienza collettiva hip hop, scippata da Grandmaster Flash in The message). Band di frontiera, tra cocciuta semioscurità e live accaniti.

Questa rubrica è stata pubblicata il 23 settembre 2016 a pagina 92 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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