10 gennaio 2017 19:00

1. Berg, Wrong
Sembra un misto tra i primi Depeche Mode più industrial e la musichetta di sottofondo agli Inc. Cool 8 di Crozza, ma è Luca Nistler, un milanese (di scuola germanica) che fa rima con solipsista: fa tutto da solo, con la voce e gli effetti loop e delay. L’album s’intitola Solastalgia ed è un enigma racchiuso in un bianco involucro triangolare. Suona bene, è un pop vagamente distopico, in cerca di linee di confine tra chissà cosa: un personaggio di Black mirror potrebbe essere costretto ad ascoltare tutte le mattine sotto una doccia di gas esilarante.

2. Kento & the Voodoo Brothers, Lingua madre
“Basta i paragoni con i primi cantautori (quasi tutti ora sono vecchi dentro e tristi fuori)”. Una voce forte, unica, anche se continua a cercare di qua e di là. Volendo si può provare a immaginarselo come possibile anello di congiunzione tra Roberto Saviano e Fedez. Meriterebbe platee più vaste, anche se per indole pare determinato a scansare come la peste qualsiasi ipotesi di scorciatoia rassicurante e rap riflessivo con la pancetta. L’album è titolato Da sud, ma la cosa interessante sarà vedere per dove andrà, per andare dove deve andare.

3. Sauropod, Hausmania
Il trio norvegese formato da Jonas, Kamilla e Jørgen suona grunge ma dolce; picchiano, tirano e armonizzano come se i Green Day fossero rinati in uno spot dell’Ikea. Massima economia compositiva, massimo dispendio di energia nella performance: come macchinette quando vogliono (Headphones, il loro singolo perfetto, sta sotto i due minuti come una manche di supergigante). Qui si producono in una sorta di spot per il centro culturale alternativo di Oslo: too wild outside, but not in here (valido anche come motto di questa rubrica).

Questa rubrica è stata pubblicata il 6 gennaio 2017 a pagina 86 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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