24 gennaio 2017 19:04

1. Twoas4, Eu vreau sa fiu cainele tau
Versione, con verso chiave in romeno, di I wanna be your dog degli Stooges: se l’originale di Iggy Pop è abbastanza imbattibile, occorre dare atto a Luminita Ilie di fornire un buon controcanto. D’altronde la lingua neolatina è (fin dal titolo Marea gluma) la nota caratterizzante in un album di intensa e a tratti astrusa elaborazione art-rock della band di Oscar Corsetti: citazioni in tre lingue, annotazioni e aspirazioni altissime, flussi di coscienza noise e chitarre tese sull’Ave Maria di Gounod, e, nelle parti migliori, un dono speciale: la simplitate.

2. The Flaming Lips, Almost home (Blisko domu)
Un altro esempio di psichedelica fascinazione per le lingue viene dalla caleidoscopica band di Wayne Coyne, che ha trafugato il titolo del nuovo album (Oczy mlody) da una traduzione polacca di Erskine Cald-well. Poco importa che voglia dire “occhi giovani”: per la band più affezionata a Syd Barrett e Miley Cyrus che ci sia diventa un viaggio metafisico in un paesaggio di leccalecca e arcobaleni. Non è male pensare che una nuova lingua, appresa anche solo in minime dosi, alteri la percezione come una droga benefica.

3. The Lemon Twigs, Haroomata
Clavicembalo alla Procol Harum, sobbalzi tipo primi Pink Floyd, organo glam alla Phantom of the Opera e fuga vaudeville: tutto in una canzone di due minuti e mezzo. Roba scritta due anni fa, quando i fratellini D’Addario di Long Island ne avevano 15 e 17: bimbi prodigio che masticano tutte le lingue rock. L’acrobatico album Do Hollywood è una prova di maturità: ritmi bubblegum surf e pomposità Queen e falsetti Supertramp e arie da mocciosi buoni. Pubblicati dalla 4AD (l’Adelphi dell’alt rock), sempre molto ascoltabili, mai davvero facili.

Questa rubrica è stata pubblicata il 20 gennaio 2017 a pagina 86 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it