29 maggio 2015 12:50

The tribe

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The tribe di Myroslav Slabošpytskij è un film insolito, sarebbe unico, se non fosse che il regista, al suo primo lungometraggio, è partito da un corto sviluppandolo (come è successo con Whiplash di Damien Chazelle). È ambientato in una sorta di collegio per studenti sordi di Kiev ed è interamente recitato nella lingua dei segni, senza sottotitoli. Eppure tutto quello che succede in questo luogo squallido, dominato da gang che gestiscono ogni traffico al suo interno, è perfettamente comprensibile. Sergeï è l’ultimo arrivato, ma si fa strada rapidamente. Diventa il protettore di due ragazze del pensionato che si prostituiscono. S’innamora di una di loro e allora proverà a uscire da questa allucinazione.

The tribe (che l’anno scorso a Cannes ha vinto il Gran prix della Semaine de la critique, seguito da una pioggia di altri premi in festival di mezzo mondo) è un film che colpisce duro. Ma non perché parla della “condizione dei sordi”. Parla di emarginazione, di violenza, di logiche mafiose e coatte, che non c’entrano con le menomazioni fisiche. La lingua dei segni si trasforma in una danza ipnotica che ci catapulta in un incubo da cui si esce con le ossa rotte. È senz’altro la prima scelta del weekend, anche se non sarà facile trovare una sala dove lo proiettano.

Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet

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Il problema di Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet si può intuire già dal titolo. Dalla sintassi del titolo. Già perché il regista del film, Jean-Pierre Jeunet, è lo stesso autore di Il favoloso mondo di Amélie. A parte gli ammiccamenti di chi ha tradotto il titolo originale (The young and prodigious T.S. Spivet, che in effetti si presta al giochino), il problema di Jeunet è proprio Amélie Poulain. Già perché dopo il successo planetario di Amélie il regista di Delicatessen, La città perduta e Alien. La clonazione non è stato più lo stesso. Qualcosina della vena visiva fantastica ma anche “artigianale” che tanto deve ai fumetti o alle distorsioni di Terry Gilliam, evidente nei suoi primi film, si può ritrovare anche in quelli successivi (specie in Una domenica di passioni). Ma dopo Amélie (che l’abbiate amata o no) non è stata più la stessa cosa. E Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet è un altro fantastico giocattolo, ma manca qualcosa…

San Andreas

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In mezzo a tanti film apocalittici distopici fa quasi piacere trovarsi di fronte a un vecchio buon apocalittico catastrofico. Si parla spesso del Big one, il terremoto che scuoterà la Terra fin nelle sue budella lungo la faglia di Sant’Andrea. Eccolo servito, in 3d, da San Andreas di Brad Payton. Dwayne The Rock Johnson è un pilota di elicotteri di Los Angeles che, dopo un violento sisma, insieme alla moglie cerca di raggiungere San Francisco, dove abita la figlia e dove passa la parte settentrionale della faglia. Per uscire dal cinema sottosopra si consiglia la versione 3d.

Pitch perfect 2

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Su Louisiana di Roberto Minervini vi rimando alla recensione di Goffredo Fofi e alle parole dello stesso regista, intervistato a Cannes da Francesco Boille. In uscita anche Pitch perfect 2, buon debutto alla regia per la simpatica attrice Elizabeth Banks, Il fascino discreto dell’amore di Stefan Liberski (tratto dal libro di Amélie Nothomb Né di Eva né di Adamo) e Pitza e datteri di Fariborz Kamkari (che è di origini curde iraniane, ma è nato a Roma) con Giuseppe Battiston.

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