07 gennaio 2016 19:00

Non ci sono più scuse. Le feste sono finite, è finito il momento del cinepanettone, del cinepandoro, del cinespumante, dei cinebotti, delle cinecalzedellabefana. Sarebbe interessante tornare sul concetto di “cinebotto” se non altro per chiedersi come mai nessun cinema sia stato “blindato” per affrontarne la minaccia. Scivola via il massimo momento del cinema popolare e le sale tornano in possesso di quegli snob radical chic orrendi che preferiscono Rooney Mara a Checco Zalone. E poi tra le nomination ai premi della Writers guild of America non c’è nessun italiano. C’è da dire che i criteri della Wga sono molto selettivi e sono tanti i film rimasti fuori, anche tra quelli prodotti negli Stati Uniti. Però domenica notte, il 10, saranno assegnati i Golden globes, dove, attenzione attenzione, che c’è anche un italiano che può vincere: perché Ennio Morricone ha beccato una nomination per la colonna sonora di The hateful eight di Quentin Tarantino (che non è italiano, ma insomma, con quel cognome…) e Variety lo dà tra i favoriti.

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In attesa dell’alba di domenica, per scoprire se grazie al maestro il tricolore sventolerà ancora una volta su Hollywood, possiamo tuffarci nel mondo di Todd Haynes. Sono tanti i motivi per andare a vedere il suo Carol, presentato all’ultimo festival di Cannes. Intanto perché è uno dei film preferiti del 2015 di Lee Marshall. Poi perché Todd Haynes (Velvet goldmine, Io non sono qui) non è mai un regista banale e perché c’è Cate Blanchett, che è una delle grandi dive in circolazione. In più il film, che racconta la relazione sentimentale tra due donne nella New York degli anni cinquanta (e se Haynes si è ispirato all’America di Rockwell, di Life e di Times, pazienza, per stavolta Fofi ci perdonerà), è tratto da The price of the salt di Patricia Highsmith. Ma il vero motivo per cui non si può perdere Carol è soprattutto che c’è Rooney Mara.

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Valida alternativa è La grande scommessa di Adam McKay. Anche per questo film sono vari i motivi di interesse. Nel 2011, con L’arte di vincere di Bennett Miller, fu tentata una curiosa operazione, cioè quella di trasformare un saggio di economia in un film, in particolare Moneyball di Michael Lewis che spiegava come un manager di una squadra di baseball sia arrivato a un passo dalla vittoria mettendo insieme una squadra grazie a dei modelli statistici. Anche La grande scommessa è tratto da un saggio di Michael Lewis, The big short. Qui non si parla di baseball ma di come nei primi anni duemila alcuni analisti finanziari statunitensi un po’ fuori dagli schemi abbiano pensato di scommettere sull’esplosione della bolla immobiliare. Ci sono altri film che hanno provato, con più o meno successo, a spiegarci cos’erano i mutui subprime e come si fa a trarre profitto da una crisi finanziaria. Forse il limite di La grande scommessa è proprio di privilegiare l’aspetto “didattico” a quello “drammatico”, ma per fortuna alcune interpretazioni di un super cast (su tutte quella di Steve Carell) ci tirano dentro una materia mediamente ostica come la finanza creativa. Non manca una spolverata di retorica all’americana, ma non troppa.

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Dopo la grande scommessa, la grande tentazione: si può resistere all’idea di vedere Michael Fassbender che interpreta Macbeth? Con Marion Cotillard che fa Lady Macbeth? Forse no, anche se qualche snob continuerà a preferire Rooney Mara. In uscita anche Assolo, il debutto alla regia di Laura Morante. Si legge nella sinossi: “Flavia (Laura Morante) è una donna fragile e insicura. Ha due matrimoni alle spalle, due figli, un cane in prestito”. Complimenti. E se non era fragile e insicura che faceva? Qualcuno ha suggerito: “Si comprava l’As Roma”.

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