14 gennaio 2016 18:10

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Fresco delle sue dodici nomination agli Oscar e dei suoi tre Golden globes, The revenant di Alejandro González Iñárritu s’impone come film da vedere in questo freddo weekend. Dopo averci guidato nel backstage di un teatro di Broadway, Iñárritu stavolta ci catapulta nel North Dakota degli anni venti dell’ottocento. Una spedizione per cacciare animali selvaggi da trasformare in preziose pellicce è presa d’assalto da indiani cattivissimi, come non se ne vedevano dai tempi di John Ford. Un massacro. La sequenza è di notevole impatto, ma nel caos della mattanza Iñárritu riesce sapientemente a mettere in evidenza i due antagonisti del film: Hugh Glass (Leonardo DiCaprio), esperta guida scout con figlio mezzosangue a carico, e il texano Fitzgerald (Tom Hardy), che ci tiene a farsi riconoscere subito come tipo poco raccomandabile. Non andiamo oltre.

The revenant ha una sceneggiatura abbastanza asciutta con qualche concessione ai grandi spiriti che abitavano il North Dakota da prima dell’arrivo dell’uomo bianco e alla morale che non necessariamente è peculiarità dell’uomo bianco. La storia è lineare, del resto la vendetta è antica quanto i codici di Hammurabi. Tecnicamente è un film di prim’ordine, grazie a contributi eccellenti, come la fotografia di Emmanuel Lubezki. DiCaprio si fa seviziare in vari modi (che si deve fare per guadagnarsi un Oscar?) e offre un’interpretazione solida, anche se ogni tanto, con meno sforzo, Tom Hardy gli ruba la scena. Come in altri casi il problema (ma forse è un mio problema personale con il regista) è nell’incapacità di Iñárritu di resistere alla tentazione di strizzare l’occhio al pubblico. Eppure stavolta era riuscito a resistere fino all’ultimo.

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Creed parla di boxe e quindi forse non interesserà a molte persone. Ma il film di Ryan Coogler ha diversi meriti. Il primo tra tutti è quello di ricordarci quanto è grande il personaggio inventato da Sylvester Stallone nei lontani anni settanta: Rocky Balboa. Creed non solo restituisce linfa a un mito, ma lo trasforma da personaggio a leggenda, cioè in qualcosa che esiste davvero e questo ne fa un film unico. Adonis (Michael B. Jordan, che abbiamo visto in Fruitvale station, dello stesso regista e prima ancora nella serie The wire) è il figlio illegittimo di Apollo Creed. Vuole diventare un pugile, come era il padre che non ha mai conosciuto. Ma gli serve una guida. Chi meglio del vecchio amico di Apollo che è anche il suo più grande rivale sul ring? Per questa interpretazione Stallone ha già vinto il Golden globe e ora è arrivata anche la nomination all’Oscar. Mi correggo: Creed non parla solo di boxe, parla anche di cinema, forse quindi potrebbe interessare anche a chi se ne frega del pugilato.

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Nonostante il nome e il suo ottimo italiano, Giulio Ricciarelli è tedesco. E il suo film, Il labirinto del silenzio, racconta una storia profondamente tedesca. Siamo alla fine degli anni cinquanta, a Francoforte. Il giovane procuratore Johann Radmann (Alexander Feeling) comincia quasi per caso a indagare su un maestro di scuola che un superstite ha riconosciuto come uno dei suoi aguzzini nel campo di concentramento di Auschwitz. La sua indagine lo porta a scontrarsi con qualcosa che può travolgere tutto e tutti. Non è facile fare i conti con il passato. Il popolo tedesco lo sa bene e il principale merito del film di Ricciarelli è di ricordarci che solo grazie a una minuziosa opera di ricerca e a un doloroso confronto con i propri fantasmi i tedeschi sono riusciti a ricostruirsi un profilo morale che è diventato praticamente proverbiale e su cui ancora possono campare di rendita.

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Strana operazione quella di Sherlock. L’abominevole sposa. Si tratta di uno special natalizio della Bbc, una specie di episodio zero della quarta stagione (prevista per l’anno prossimo) della divertente serie in cui Benedict Cumberbatch e Martin Freeman interpretano Holmes e Watson trasportandoli ai giorni nostri. In L’abominevole sposa i due eroi sono riportati nella loro epoca originale, dove saranno alle prese con un mistero che per la verità non sembra neanche così irrisolvibile. Si sconsiglia la visione a chi non ha visto la terza stagione della serie televisiva. In uscita anche La corrispondenza di Giuseppe Tornatore con Jeremy Irons e Olga Kurylenko, e Daddy’s home di Sean Anders con Mark Wahlberg.

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