22 luglio 2016 17:37

Con Star Trek beyond e Mr. Cobbler e la bottega magica possiamo dire che si chiude la stagione 2015/2016. Per qualcuno questa sarà la stagione del ritorno di Star Wars, per altri quella di Checco Zalone re indiscusso del botteghino italiano con Quo vado?, più di 65 milioni di euro incassati, per altri ancora quella di Lo chiamavano Jeeg robot, e per una sparuta minoranza la stagione di Non essere cattivo, l’ultima opera di Claudio Caligari. Parlando di botteghino è in ogni caso d’obbligo citare Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, finora nell’anno solare secondo solo a Zalone e seconda e ultima pellicola italiana in una top ten 2015/2016 tutta a stelle e strisce. Otto i film statunitensi tra i primi dieci incassi: un dato perfettamente in linea con la stagione precedente in cui Si accettano miracoli e Il ricco, il povero e il maggiordomo (con incassi decisamente minori rispetto alle pellicole di Nunziante e di Genovese) erano le uniche due eccezioni per altro ampiamente surclassate da Cinquanta sfumature di grigio (che comunque ha incassato meno di venti milioni di euro) e American sniper di Clint Eastwood.

Star trek beyond

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Più che ispirare ragionamenti scontati su quali sono i gusti del pubblico, questi dati segnalano un’altra evidenza. E cioè che gli schemi della distribuzione (sempre più determinanti anche per le grandi produzioni) sono inesorabili. Non voglio insultare nessuno, ma non riesco a capacitarmi del fatto che Non essere cattivo (che in sala ha incassato poco più di cinquecentomila euro) non solo non è tra i primi cento incassi della stagione, ma ha raccolto meno di un terzo di quello che – in meno tempo ma con un rapporto di uno a otto come numero di sale – ha incassato Il mio grosso grasso matrimonio greco 2, ovvero l’ultimo dei sequel in classifica. E quindi? Quindi il problema non è tanto il gusto o l’educazione del pubblico, né la distinzione tra cinema popolare e cinema d’autore (anche Forever young di Fausto Brizzi, che fino a qualche anno fa era il regista dalle uova d’oro della commedia italiana, ha incassato meno del grasso matrimonio “alla greca”). Il problema semmai è la diversità.

All’inizio di giugno Le Monde ha pubblicato un articolo intitolato “La charge des ‘indépendants’ du cinéma contre les circuits de salles”. “La vita in sala dei film d’autore è sempre più corta”, s’interroga Clarisse Fabre. “È una fatalità o la loro difficoltà di programmazione è invece legata a una presunta evoluzione dei gusti del pubblico?”. In Francia i produttori e i distributori indipendenti non hanno dubbi: “La diversità è in crisi a causa del livello di concentrazione sul mercato della programmazione delle catene di cinema, viene ripetuto con insistenza sui mezzi d’informazione”. Ma per una volta non ci si è limitati a inveire contro le grandi distribuzioni: “Diverse organizzazioni come la società civile degli autori, registi e produttori (Arp), il sindacato dei distributori indipendenti (Dire) e la Società dei registi di film (Srf) hanno deciso di affidare a Pierre Kopp, professore di legge a Parigi e avvocato specializzato in diritto della concorrenza, uno studio sulla questione”. Kopp ha analizzato le pratiche commerciali delle prime tre catene di cinema francesi – cioè Ugc, Gaumont-Pathé e Cgr – e il risultato è riassunto nella sintesi del rapporto che ha presentato ai committenti: “Il dominio dei grandi gruppi nel settore falsa la concorrenza e danneggia gravemente la diversità del cinema francese. Il dominio economico non solo sostituisce la concorrenza, a scapito della creazione e del pubblico, ma va anche contro le regole del diritto”.

Qualche cifra, sempre riportata da Le Monde, a sostegno del drammatico verdetto di Kopp: “A Parigi tre circuiti (Ugc, Pathé, Mk2) detengono il 71,5 per cento delle sale e l’88,6 per cento del mercato (cioè dei proventi derivanti dai biglietti venduti). Le sale indipendenti sono ormai solo il 28,5 per cento dei cinema e solo l’11,4 per cento del mercato. Nel resto della Francia i primi tre circuiti (Gaumont-Pathé, Ugc e Cgr) detengono il 52,1 per cento del mercato. A questa concentrazione “orizzontale” si aggiunge poi una concentrazione “verticale”, quando dei gruppi controllano l’intera filiera, dalla produzione del film fino al suo sfruttamento in sala”. Sarà necessario tornare su tutto ciò, entrando nel dettaglio di alcune pratiche commerciali delle grandi catene e cercando di capire quanto sia differente il panorama italiano. Ma è evidente anche in Italia che alcuni film brutti prodotti negli Stati Uniti guadagnano di più di altri film, belli, che non sono prodotti negli Stati Uniti. E difficilmente Ghostbusters, che esce il 28 luglio, potrà sovvertire questa amara verità.

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