20 ottobre 2016 18:10

Una palma contro una piuma. In sostanza è questa la scelta che ci si presenta in questo fine settimana di autunno. Sia chiaro però che non è né giusto né possibile un confronto tra Io, Daniel Blake di Ken Loach e Piuma di Roan Johnson.

Con il suo ultimo film, secondo alcune stime il venticinquesimo, Ken Loach racconta la vicenda di Daniel Blake, un carpentiere di 59 anni di Newcastle che si trova bloccato in un limbo amministrativo-burocratico: dopo aver sofferto un infarto i medici gli impediscono di lavorare, ma l’assistenza sociale invece lo spinge a cercare un lavoro (che poi non potrebbe comunque svolgere) per ottenere il sussidio di disoccupazione. Il registro scelto da Loach, che con questo film ha vinto la sua seconda Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes, è quello di un realismo assoluto. Blake è una persona per bene che affronta a testa alta le sfide che maliziosi burocrati gli hanno messo di fronte e riesce anche a strapparci un paio di risate a denti stretti. Ma stavolta il naturalismo scelto da Loach sembra non lasciare speranza.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Il regista britannico, di cui tutti conoscono le posizioni politiche, non risparmia critiche a un mondo e a un sistema che riconosciamo sempre più disumani. Ma forse va anche oltre, e nella vicenda di una singola persona Loach individua il fallimento di tutta la società presunta civile. Si esce dalla visione del film con un certo peso sulle spalle.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Pieno di speranza, di allegria e di luce è invece il secondo film di Roan Johnson, Piuma, presentato in concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Ferro e Cate si preparano per la maturità ma anche per una prova molto più ardua, forse la più grande cazzata che possano fare due giovani come loro. Cate infatti è incinta e i due hanno deciso di tenersi il bambino. Il film è una commedia e il suo ottimismo può quasi risultare irritante, anche se non si può neanche parlare di ottimismo. Si parla di ragazzi e se non possono essere leggeri loro non può esserlo nessuno. In più i due giovani protagonisti (Luigi Fedele e Blu Yoshimi) sono, ognuno a modo suo, irresistibili. Semmai sono gli adulti a essere meno a fuoco. E poi difficilmente un lettore di Internazionale può rimanere insensibile alla storia delle paperelle

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Infine quello che è un po’ l’oggetto misterioso della settimana. Il debutto alla regia di Ewan McGregor, American pastoral, tratto da Pastorale americana di Philip Roth, premio Pulitzer 1998. Da un attore scozzese che debutta dietro la macchina da presa forse ci si poteva aspettare qualcosa di meno americano. Ma McGregor ormai è uomo di Hollywood, punta molto in alto, segue tutte le regole e qualcosa azzecca. Ma qualcos’altro se l’è perso per strada. Come scrive Richard Brody del New Yorker: “Coglie la grandezza elegiaca del romanzo di Roth, ma lascia fuori la sua ironia amara”. Eppure l’ironia è sempre stata una caratteristica vincente del McGregor attore.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it