19 gennaio 2017 18:50

Ci risiamo. Qualche anno fa Christopher Nolan, con Interstellar, ha stabilito lo standard per una nuova fantascienza hollywoodiana: affascinante nelle premesse, bella da vedere, emozionante, per qualcuno anche coinvolgente, ma che poi non arriva ai giardinetti dietro casa, ma si ferma direttamente sul pianerottolo o nei pochi centimetri che circondano il nostro ombelico, o comunque l’ombelico di Christopher Nolan. Arrival di Denis Villeneuve viaggia in quel solco. Ma forse il regista di Sicario aveva bisogno di cimentarsi con un film del genere, con una produzione del genere, prima di affrontare il sequel di Blade runner, che vedremo il prossimo autunno e che non è cosa da poco.

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Amy Adams è Louise, una studiosa di linguistica le cui lezioni, ahinoi, vanno praticamente deserte e quei pochi studenti che assistono non si preoccupano neanche di spegnere i loro cellulari. Quando all’improvviso arrivano, arrivano gli alieni. Non è un’invasione. Dodici oggetti si piazzano in diversi luoghi intorno al pianeta. Uno è nel Montana, un altro sicuramente dalle parti di Shanghai, un paio in Russia, un paio in Europa, insomma equamente sparsi nell’atmosfera terrestre. I primi ad arrivare sul posto sono i militari (succede spesso così) e poi però serve qualche professore, per provare a capire che cosa cercano questi alieni, visto che non sparano, non devastano, non invadono insomma. Sembrerebbero alieni buoni.

E così Louise, esperta di linguaggio, è chiamata dai militari per provare a stabilire una comunicazione accettabile con gli eptapodi (dal greco, ci tengono a spiegare gli autori, cioè con sette zampe, grazie). Crediamo di capire che Louise ha i suoi problemi, ma sembra la persona giusta per la sfida. Un generale illuminato, Forest Whitaker, le affianca un fisico, Jeremy Renner, con cui Louise forma immediatamente una coppia ben affiatata. Poi ci sono un agente della immancabile Cia (Michael Stuhlbarg), cinesi e russi a guidare il plotone dei falchi. Louise, la persona giusta al posto giusto, grazie a una lavagnetta riesce a stabilire che invece che parlarsi, gli umani e gli eptapodi possono scriversi dei messaggi.

Fin qui tutto bene, anche perché potremmo essere di fronte a un film di fantascienza che affronta un tema molto interessante: come comunicare con forme di vita aliene? Almeno senza i traduttori universali di Star Trek o di Mars attacks!? Poi il primo colpo basso. Sulla decifrazione della scrittura aliena dobbiamo concedere la prima forzata sospensione di giudizio. E purtroppo non sarà l’ultima. Rimangono di buono una bella e intensa interpretazione di Amy Adams, dei suoi bellissimi primi piani, una buona chimica con la controparte Jeremy Renner e qualche ottima idea di Villeneuve che ci fa ben sperare per il suo prossimo film, Blade runner 2049. Ma in generale sono troppi i buchi e le forzature che dobbiamo mandare giù. Per finire poi dove? Se ogni epoca ha la fantascienza che si merita, vuol dire che siamo messi male.

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In Dopo l’amore di Joachim Lafosse siamo catapultati nella difficile convivenza di Marie (Bérénice Bejo) e Boris (Cédric Kahn). Separati in casa e genitori di due gemelle, devono fare i conti con una relazione davvero esausta. Abitano in una bella casa, che però è uno dei motivi principali della loro discordia e non riescono a mettere le loro due bellissime gemelline davanti alle loro incomprensioni. Il film è stato accolto abbastanza bene in Francia. Il giudizio del serioso mensile Positif è entusiasta. Si parla di un “grande film intimo che evita cliché e psicologismi”. Tra i pochi giudizi negativi c’è però la stroncatura dei severissimi Cahiers du cinéma: un film “monotono e poco sincero”, dove l’esercizio più interessante è identificarsi con le bassezze che i due coniugi si dispensano senza nessuna ironia. È comunque una buona occasione per rivedere Bérénice Bejo.

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In uscita anche il nuovo film di Ficarra e Picone, L’ora legale, satira sull’elezione di un sindaco “troppo” onesto in un piccolo paese della Sicilia. La trama sembra forse un po’ banale, ma Ficarra e Picone spesso riescono a non esserlo. In Qua la zampa di Lasse Hallström (direi che ormai ce lo siamo definitivamente giocato) seguiamo varie reincarnazioni di un cane dagli anni cinquanta a oggi. Il simpatico cagnetto cambia razza ma mantiene sempre la voce di Gerry Scotti. Per molti ma non per tutti.

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