02 febbraio 2017 18:50

In Smetto quando voglio – Masterclass, secondo capitolo della saga dei ricercatori che si reinventano spacciatori per sopravvivere alla precarietà, il regista Sydney Sibilia ha aggiunto una caterva di nuovi elementi tra i quali un misterioso cromatografo. Intanto dei nuovi personaggi, alcuni dei quali rientrano nella categoria di laureati lasciata fuori nel primo capitolo e cioè i famosi “cervelli in fuga”. Poi degli insospettabili sviluppi della trama che fanno tornare in pista Pietro Zinni e i suoi colleghi. Alcune notevoli sequenze di azione. Proprio in una di queste, di cui Sibilia ci ha svelato qualche segreto nell’Anatomia di una scena, vediamo per la prima volta il cromatografo. Ma per sapere cos’è e a cosa serve dovrete andare a vedere il film, che per fortuna è divertente e riuscito quanto il primo.

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Sibilia non si è risparmiato, non si è limitato a riprendere gli elementi della formula che ha funzionato tanto bene per il suo film d’esordio e a riproporli. Ha raddoppiato, anzi triplicato (già annunciato infatti il terzo capitolo della serie, Ad honorem) e ha fatto di nuovo centro. Il film ci è piaciuto perché ritroviamo dei personaggi veramente ben riusciti (i miei preferiti sono l’Alberto di Stefano Fresi e il Bartolomeo di Libero De Rienzo, ma funzionano tutti), perché si ride e perché quando finisce ci si ritrova a volerne ancora.

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Nel film di Katell Quillévéré, Riparare i viventi, si assiste all’espianto del cuore di un ragazzo in coma dopo un incidente stradale e al suo trapianto. Una lunga sequenza in cui siamo trasportati dentro la sala operatoria, gomito a gomito con i chirurghi. La cosa sorprendente è che Quillévéré è riuscita a rendere queste scene tutt’altro che impressionanti. Anzi, come abbiamo già scritto, sono piuttosto rassicuranti. Un altro film francese in uscita questa settimana, 150 milligrammi di Emmanuelle Bercot, ci fa entrare in una sala operatoria, ma stavolta le scene a cui assistiamo, proprio all’inizio del film, sono molto disturbanti, ci fanno sentire fragili, a rischio. Il film di Bercot racconta la vicenda di Irène Frachon, interpretata dalla poliedrica attrice danese Sidse Babett Knudsen, che molti ricorderanno a fianco di Fabrice Luchini in La corte e che molti altri ricorderanno a fianco di Jeffrey Wright e Anthony Hopkins nella serie Westworld.

Irène Frachon è una pneumatologa del policlinico di Brest che nel 2009, coinvolgendo alcuni suoi colleghi dell’ospedale, si è lanciata in una durissima battaglia contro una grande azienda farmaceutica francese. Irène si è resa conto che un farmaco che veniva prescritto ai diabetici per dimagrire aveva dei gravi effetti collaterali a livello cardiovascolare. 150 milligrammi ricostruisce puntualmente la vicenda. A parte la scena iniziale, c’è un’altra scena molto forte che disturba, cioè l’autopsia di una paziente di Iréne. Ma a farci empatizzare di più con Irène, se ce ne fosse bisogno, c’è un altro elemento. Cioè il fatto che le istituzioni e i cinici dipendenti della farmaceutica trattano con sufficienza la pneumatologa soprattutto perché è di Brest, la considerano una provinciale, una zotica bretone. A riempire lo spazio tra questi due estremi ci sono l’energia e l’umanità dell’interpretazione di Sidse Babett Knudsen.

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A proposito di scene disturbanti e raccapriccianti. Mel Gibson è un personaggio molto discusso e invecchiando ha evidenziato alcuni dei suoi lati più oscuri. Però i film li sa fare. La battaglia di Hacksaw Ridge, presentato in concorso a Venezia, racconta la storia di Desmond Doss, interpretato da Andrew Garfield, eroe della seconda guerra mondiale che si rifiutò di portare le armi perché la sua religione glielo impediva. È un film lungo (più di due ore), retorico, violento (le scene di battaglia non ci risparmiano davvero niente), ma fatto a regola d’arte. Come in La passione di Cristo e in Apocalypto, Gibson indugia sull’estrema violenza di cui sono capaci gli esseri umani. Quindi chi non ha intenzione di vedere soldati sventrati da granate, sbudellati da baionette o anche semplicemente sforacchiati da mitragliatrici può risparmiare i soldi del biglietto. Per gli altri possiamo dire che anche se non si tratta di un grande film, La battaglia di Hacksaw Ridge è cinema di prima qualità.

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Abbastanza maltrattato dalla stampa statunitense arriva un po’ in sordina Billy Lynn. Un giorno da eroe di Ang Lee. Il film è tratto dal romanzo È il tuo giorno Billy Lynn di Ben Fountain e racconta la lunga giornata di un plotone di soldati durante una tournée negli Stati Uniti, dopo che uno di loro, Billy, è diventato un eroe. Come sappiamo già da Flags of our father, gli eroi sono una merce che la macchina della propaganda sfrutta per benino e quindi Billy e i suoi commilitoni sono i protagonisti di una specie di show nell’intervallo della partita di football dei Dallas Cowboys che si svolge nel Thanksgiving. Durante la lunga giornata che i soldati passano in gran parte allo stadio, scopriamo quale traumatico atto di guerra ha trasformato Billy in un eroe e scopriamo anche l’atteggiamento ambivalente che gli Stati Uniti riserva ai suoi ragazzi che combattono per “esportare” la democrazia. Il film di Ang Lee non è un capolavoro e soffre a sua volta di qualche ambiguità, ma regala anche parecchi spunti di riflessione. Ruolo piccolo ma significativo per Vin Diesel, meno convincente Steve Martin nella parte del miliardario texano.

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