27 aprile 2017 18:24

Peter Bradshaw ha scritto sul Guardian: “Ludwig Wittgenstein ha detto che non possiamo sperimentare la morte perché la morte non è un evento della vita. Ma certo Wittgenstein non si è dovuto sorbire l’insopportabile nuovo film di Warren Beatty”. A giudicare dai primi minuti di L’eccezione alla regola, il film scritto, diretto e interpretato da Beatty, il giudizio di Bradshaw sembra un po’ severo. Marla (Lily Collins) arriva a Hollywood sotto contratto con la Rko di Howard Hughes (Warren Beatty): 400 dollari a settimana, una bellissima casa in collina e un autista sempre a disposizione, Frank (Aiden Ehrenreich). Tra Marla e Frank, entrambi dipendenti dal misterioso miliardario, entrambi devoti (una battista, l’altro metodista), entrambi giovani e in attesa che la loro vita prenda forma, nasce qualcosa. Fin qui ci si può stare, anche se la ricostruzione della Hollywood degli anni cinquanta è un po’ da cartolina, anzi da plastico.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Poi entra in scena Hughes, e quindi Beatty, e il film deraglia. Non è una biografia di Hughes, non è una commedia romantica in costume, non è avvincente praticamente in nessun aspetto. Ci si rende rapidamente conto che Bradshaw non è stato ingeneroso e che, anche se non è un’esperienza mortale, probabilmente il tempo passato a cercare di dare una chance a questo film è tempo perso. Beatty ha lavorato a lungo all’idea di un film su Howard Hughes, con se stesso come protagonista. Evidentemente ci ha lavorato troppo a lungo. I due giovani protagonisti sono come messi in ombra dall’ingombrante presenza del miliardario texano (e della quinta di Mahler) e Warren Beatty non ha più la forza di portare il film sulle sue spalle, anche se il suo è un personaggio alla deriva fisica e mentale. Pensando al Warren Beatty di Reds viene da pensare che forse se avesse fatto il film una ventina d’anni fa (o anche prima)… Ma adesso il tutto è un po’ deprimente.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Non che Le donne e il desiderio di Tomasz Wasilewski (premiato a Berlino per la migliore sceneggiatura) dispensi allegria a piene mani. Siamo in un luogo imprecisato della Polonia del 1990, anno di svolta nella storia polacca segnato dall’elezione come presidente della repubblica di Lech Wałęsa. Agata (Julia Kijowska) ha un marito e una figlia ma il suo desiderio è rivolto a un affascinante prete. Magdalena Cielecka è Iza, amante di un medico che appena diventa vedovo decide di troncare la relazione. Renata (Dorota Kolak) è stata invece appena licenziata, ma è troppo impegnata a cercare di infilarsi nella vita di Marzena (Marta Nieradkiewicz), per preoccuparsene. Infine Marzena, insegna aerobica, ma ha un poster di Whitney Houston appeso al muro e sogna di dare seguito al suo successo a un concorso di bellezza locale.

Sulla carta le storie di queste donne potrebbero essere il canovaccio per quattro episodi di una commedia italiana degli anni settanta, di quelle con Anna Maria Rizzoli e Renzo Montagnani. Ma lo sguardo che Wasilewski getta sui loro desideri è glaciale, come la fotografia di Oleg Mutu. Il parallelo tra la Polonia appena liberatasi dal regime di Jaruzelski e quella che oggi appare altrettanto irrigidita dai conservatori ultracattolici potrà funzionare sulla carta, meno nel film che soffre di una totale assenza di empatia (al limite della misoginia) per ciascuna delle sue protagoniste. Si rimane troppo lontani da queste quattro donne per rischiare anche lontanamente di provare qualcosa per loro.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Se qualcuno non lo sapesse, su Internazionale, nelle pagine di cinema, per dare un’idea dei film in uscita, vengono tradotte le recensioni dei giornali stranieri. Capita naturalmente che dei film escano in contemporanea in tutto il mondo o, a volte, addirittura prima in Italia che negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia eccetera. Però si trovano sempre delle recensioni da tradurre. Non è stato così per The circle, il film di James Ponsoldt tratto dal romanzo di Dave Eggers. Produttori e distributori hanno fatto di tutto perché prima della proiezione al festival di Tribeca e prima dell’uscita nelle sale, su questo film non si scrivesse una riga.

Di solito, come ricorda Eve Batey su SFist, questo non è mai un buon segno. Nella maggior parte dei casi significa che la produzione ha perso fiducia nel progetto. Emma Watson interpreta Mae, appena assunta in una mega azienda tecnologica che dietro l’amichevole volto di Eamon Bailey (Tom Hanks) nasconde qualcosa di sinistro e inquietante. Con queste premesse (e il romanzo di Eggers dietro le spalle) sarebbe un vero peccato se il film fosse venuto male. Nel cast anche John Boyega e Patton Oswalt.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

In uscita anche La tenerezza, di Gianni Amelio, ambientato a Napoli ma, una volta tanto, non nelle periferie degradate né nei famosi quartieri spagnoli. Nel cast, rigorosamente in ordine alfabetico, Renato Carpentieri, Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno e Micaela Ramazzotti.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it