21 dicembre 2016 10:04

In che mondo viviamo? Nel 2016 l’ordine che, in un modo o nell’altro, aveva preso piede dopo la guerra fredda è definitivamente tramontato. Ciò è avvenuto con grandi sofferenze, e senza che siano chiare le caratteristiche del mondo che ne prenderà il posto. Il 2017, con i primi passi del presidente Donald Trump a capo della principale potenza mondiale, dovrebbe permettere di vedere emergere questo nuovo ordine, nella buona o nella cattiva sorte.

L’anno passato si era chiuso con una grande paura e una grande speranza. La paura era quella degli attentati terroristici jihadisti che, come quelli di Parigi del 13 novembre 2015, hanno seminato la morte in molti paesi. La speranza nasceva dagli accordi di Parigi sul clima, segnale modesto ma significativo del fatto che, su alcuni nodi essenziali, il pianeta era ancora in grado di trovare un accordo.

Oggi la cosa appare lontana, visto che l’anno si chiude con l’eco disperata proveniente da Aleppo e l’agonia del sogno di una terza via per la rivoluzione siriana, stretta tra il regime dittatoriale di Assad e la barbarie jihadista. Proprio Aleppo simboleggia per tre motivi l’intera epoca in cui viviamo.

Le scommesse vinte di Putin
Il primo motivo sta nella vittoria di Putin, la cui audacia e il cui cinismo senza limiti, in campo diplomatico e militare, hanno avuto la meglio sulle esitazioni di un occidente disorientato e stanco.

Poi, la vittoria della forza sulla diplomazia, che ha distrutto la residua speranza di veder emergere una governance mondiale collettiva e fondata sul diritto.

E ancora, la vittoria degli “uomini forti” (come Putin, Assad ed Erdoğan) sullo slogan “noi siamo il popolo” della cosiddetta primavera araba, sconfitta da una controrivoluzione senza pietà.

Nel 2014, inviando i suoi “piccoli uomini verdi” in Crimea e completando in poche settimane l’annessione, illegale secondo il diritto internazionale, di questa regione alla Russia, Vladimir Putin aveva mostrato la sua assenza di scrupoli, oltre che la sua capacità d’agire velocemente e con forza, approfittando dell’incapacità di reagire del resto del mondo. Pochi russi dubitano oggi del fatto che la Crimea, storicamente russa ma annessa all’Ucraina nel 1954, gli appartenga e non gli sarà mai sottratta. Le sanzioni americane ed europee non cambieranno sicuramente alcunché.

Nel 2015 il presidente russo si è ripetuto, stavolta a volto scoperto e con appena una patina di legalità, che gli proveniva dall’invito del regime di Damasco, intervenendo militarmente in Siria al fianco dell’Iran e dei miliziani scitti suoi alleati, per salvare un esercito governativo che rischiava il tracollo.

Quest’ardita scommessa geopolitica – all’epoca gli statunitensi auguravano buona fortuna a Putin, ma prevedevano per lui un nuovo Afghanistan – ha finito per pagare, perché ha salvato il regime di Bashar Al Assad, schiacciando la ribellione non jihadista e riducendo a due le forze in campo: la dittatura e i jihadisti. Non rimane che scegliere da quale parte stare.

Le lezioni dimenticate della storia
L’assedio di Aleppo è innanzitutto la pietra tombale sul sogno di rivoluzione non jihadista che non ha saputo resistere alla realpolitik del momento, tanto allo schiacciasassi russo che all’eclissarsi dell’Europa. È anche il simbolo della fine di un ordine mondiale dominato dagli Stati Uniti dalla fine del bipolarismo mondiale della guerra fredda, concluso nel 1991, e più in generale della fine del “secolo americano” inaugurato dal primo conflitto mondiale.

Così facendo, Vladimir Putin ha lavato l’onta della scomparsa dell’Unione Sovietica, che lui stesso aveva definito una catastrofe storica per la Russia. Il presidente russo si è prodigato in tutti i modi per restituire la sua fierezza e il suo rango a una Russia relegata dagli americani al ruolo di potenza regionale in declino. Lo ha fatto in maniera sbrigativa e senza farsi scrupoli, rimettendo la Russia al centro del gioco mondiale nonostante tutti i suoi problemi.

Barack Obama ha lasciato trasparire la sua amarezza, durante una delle sue ultime conferenze stampa da presidente degli Stati Uniti, il 16 dicembre, lasciandosi scappare che “I russi non possono cambiarci o indebolirci in maniera significativa. È un paese più piccolo e più debole [degli Stati Uniti]. La loro economia non produce niente d’interessante per nessuno, a parte il petrolio, il gas e le armi. Non innovano. Ma possono avere un impatto su di noi se perdiamo di vista chi siamo”.

Trump sembra una strana miscela d’inesperienza in politica estera e di desiderio istintivo di sconvolgere l’ordine esistente

Queste esternazioni sorprendenti (la Russia è quasi il doppio degli Stati Uniti quanto a superficie) e sprezzanti confortano Putin nella sua volontà di mostrare all’occidente che ha avuto torto a trattare la Russia come un attore secondario (nonostante la sua economia sia effettivamente in ginocchio). L’umiliazione dei tedeschi dopo la prima guerra mondiale ha prodotto Hitler e il secondo conflitto mondiale. Quella della Russia dopo la guerra fredda ha prodotto Putin e le attuali tensioni. I paralleli storici finiscono qui, ma servono a ricordare che le lezioni della storia vengono sempre dimenticate.

La vittoria di Trump, aiutato, per non dire di più, da quella che appare come un’ampia operazione russa di manipolazione dell’opinione pubblica statunitense tramite il massiccio hackeraggio della posta elettronica di esponenti democratici per tutto il 2016, cambia da subito la situazione internazionale, ancor prima della sua investitura ufficiale del prossimo 20 gennaio.

Quando tutto è cambiato
A qualche settimana dalla sua elezione, il presidente eletto Trump appare come una strana miscela d’inesperienza totale in politica estera e di desiderio istintivo di sconvolgere l’ordine esistente. Dalle sue prime nomine – un industriale del petrolio amico di Putin agli esteri e un generale dalla formazione più tradizionalmente legata alla guerra fredda alla difesa – emergono segnali contraddittori, ma che sembrano spingere la diplomazia americana verso una nuova direzione: tenere a bada la Russia, rimanendo ostili alla Cina.

È su questo terzetto – Donald Trump, Vladimir Putin e Xi Jinping – che si giocherà, già dall’inizio del 2017, il nuovo ordine mondiale, un caos multipolare e dai contorni ancora incerti. Gli europei, chiusi in sé stessi, divisi, minacciati dall’onda populista, potranno essere solo degli spettatori finché non decideranno, se mai si decideranno a farlo, di prendere in mano il loro destino. E i popoli del mondo non saranno consultati né associati in questa radicale trasformazione dell’ordine mondiale.

Aleppo e il 2016 appariranno, a distanza di tempo, come il momento in cui tutto è cambiato. Un salto nell’ignoto che non promette niente di buono, tanto appare segnato dal disprezzo per i valori che dovevano accompagnare l’uscita dalla guerra fredda, i diritti umani, la democrazia, la governance mondiale o il diritto internazionale.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it