23 marzo 2017 15:29

Sessant’anni fa i padri fondatori dell’Europa firmavano a Roma il trattato che istituiva la Comunità economica europea; ma chi ricorda che in realtà in quell’occasione, per un ritardo nella stampa del documento ufficiale, furono firmate solo delle pagine bianche?

Alla fine della settimana a Roma si incontreranno non più in sei ma in 27 (senza il Regno Unito) per commemorare l’evento ma forse, soprattutto, per chiedersi cosa scrivere nelle pagine, in questo caso davvero bianche, relative ai prossimi decenni. Perché l’Europa che si riunisce questo fine settimana a Roma sta attraversando una crisi esistenziale profonda e deve ripensare al suo futuro.

Le parole “crisi” ed “Europa” sono in realtà associate fin dal primo giorno. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, la firma del trattato di Roma non è stata accolta da gente festante che danzava per le strade del continente. Partita dal carbone e dall’acciaio, le due “fonti” dei continui conflitti tra la Francia e la Germania, la Cee è stata innanzitutto il frutto di un volontarismo di alcuni uomini segnati dalla seconda guerra mondiale, fatti oggetto di un profondo scetticismo e in molti casi perfino di ostilità.

Era nata “un’Europa empirica”, come titolava quel giorno l’editoriale di Le Monde, rievocato questa settimana dal quotidiano parigino. Questo “empirismo”, ossia l’idea secondo cui ogni sapere nasce dall’esperienza e non da un piano prestabilito, ha permesso alla costruzione europea di essere l’“oggetto politico non identificato” di cui parlava un grande europeo, l’ex presidente della Commissione di Bruxelles Jacques Delors. A un certo punto però le cose non hanno più funzionato.

Nonostante gli sforzi, manca una guida davvero convincente nell’edificio comunitario

Da più di dieci anni, almeno dai no dei francesi e degli olandesi al trattato costituzionale nel 2005, l’Europa è in crisi permanente.

Per questo sessantesimo anniversario non si poteva immaginare un contesto peggiore: un Regno Unito che si prepara ad avviare quattro giorni dopo i negoziati per la Brexit, un’amministrazione statunitense ostile all’idea stessa di un’Unione europea, la crescita in diversi paesi dei populismi e dell’euroscetticismo che in due stati membri provenienti dall’ex blocco comunista, la Polonia e l’Ungheria, sono al potere, una crescita economica esangue, una crisi greca senza fine, il disaccordo sulla questione dei migranti e dei profughi, le tensioni con la Turchia, i conflitti ai confini dell’Unione (Siria, Ucraina). La lista dà le vertigini, e nonostante gli sforzi, manca una guida davvero convincente nell’edificio comunitario.

Si potrebbe sognare di meglio in vista della riunione di anniversario, visto che i partecipanti sono piuttosto fragili. Prendiamo per esempio solo i principali: François Hollande resterà in carica ancora poche settimane, Angela Merkel nel giro di qualche mese concluderà il suo mandato, l’ospite italiano, Paolo Gentiloni, è un leader pro tempore e il Regno Unito terrà un profilo basso prima di prendere il largo.

In cerca di segnali incoraggianti
Eppure, in questo contesto tetro, quelli che non vogliono rassegnarsi a spegnere la luce, sapendo che uno smantellamento di questa unione ottenuta a caro prezzo si tradurrebbe in un pericoloso regresso, possono intravedere dei segnali incoraggianti.

Il risultato delle elezioni olandesi ha mostrato senza ombra di dubbio che la crescita populista non è inesorabile né invincibile, anche se la frenata elettorale dell’islamofobo ed eurofobo Geert Wilders non significa che le sue idee non abbiano messo a segno dei punti.

La prossima tappa è ovviamente rappresentata dalle elezioni presidenziali francesi, il 23 aprile e il 7 maggio, nell’ambito delle quali emerge con chiarezza come una delle principali linee di frattura sia quella che contrappone una visione europea aperta a un generalizzato ripiegamento nazionalistico. La candidata dell’estrema destra Marine Le Pen riassume questa contrapposizione parlando di una lotta tra i “patrioti” (lei) e i “globalisti” (sostanzialmente Emmanuel Macron) parole chiave del vocabolario del Front national che le hanno garantito un ruolo da leader.

Si potrebbe però parlare anche di un’opposizione tra un declino assicurato e una scommessa sul futuro. Perché, anche se in effetti le speranze di rilancio europeo sono abbastanza a rischio, la candidata del Front national offre come uniche alternative l’uscita dall’euro (a costi esorbitanti e ai quali non fa nessun accenno nei suoi discorsi) e un ripristino delle frontiere fisiche e doganali che condannano la Francia a un salto all’indietro.

Il contrattacco a questo discorso della paura dipende da un allineamento di pianeti tutto da vedere: ossia che, con le elezioni francesi e tedesche arrivino al potere leader determinati a proporre un rilancio europeo. È la condizione necessaria ma non sufficiente per raggiungere questo risultato.

Entro la fine dell’anno il volto dell’Europa muterà dopo le elezioni francesi e tedesche, ritrovando la strada per un rilancio

Dalla Germania è arrivato il segnale più forte, sia da parte dell’entourage della cancelliera cristianodemocratica Angela Merkel sia del suo sfidante, il socialdemocratico Martin Schulz. Entrambi sono europeisti convinti e hanno di recente incontrato Emmanuel Macron, che è chiaramente il preferito dei due principali partiti tedeschi.

Wolfgang Ischinger, una delle principali voci diplomatiche tedesche e attualmente presidente della conferenza sulla sicurezza di Monaco, durante un’intervista di qualche giorno fa alla Cnn prevedeva che entro la fine dell’anno il volto dell’Europa muterà dopo le elezioni francesi e tedesche, ritrovando la strada per un rilancio. Non è certo un caso che il messaggio sia stato lanciato su un canale statunitense, nonostante sia considerato da Donald Trump come produttore di fake news.

Questa posta in gioco non ha ancora trovato una chiara espressione nella campagna presidenziale francese. In occasione del dibattito televisivo della sera del 20 marzo in Francia questo tema è stato affrontato solo poco prima di mezzanotte, dopo tre ore estenuanti. È tuttavia su questo argomento, forse ancora più che sulle questioni economiche o sulle pensioni, che la divergenza si configurerà come determinante per il futuro della Francia e dei suoi cittadini.

È verosimile che se nel secondo turno, come suggeriscono con insistenza i sondaggi, si contrapporranno Emmanuel Macron e Marine Le Pen, sarà proprio questo uno dei principali argomenti di scontro. E il resto dell’Europa sarà sicuramente attento, perché il 7 maggio nelle urne francesi si giocherà anche il suo destino, e forse sarà possibile riempire le pagine bianche del vertice commemorativo di Roma.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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