13 agosto 2014 12:01

Nella storia del mondo ci sono stati pochi casi paragonabili a quello che sta succedendo in Iraq, un paese che oggi riassume i peggiori fallimenti politici locali, regionali e globali, ma che nella storia ha rappresentato il vertice delle conquiste umane nell’arte, nella cultura, nella poesia, nelle scienze, nell’architettura, nell’industria, nelle tecniche di irrigazione, nella religione, nell’arte del governo e in molti altri aspetti della civiltà. L’Iraq rappresenta allo stesso tempo ciò che potremmo essere e ciò che temiamo di diventare.

Gli storici e gli intellettuali contemporanei discuteranno a lungo su chi sia responsabile dell’attuale condizione dell’Iraq, segnata dalla frammentazione dello stato, dall’immobilismo politico, dalla corruzione e dall’inefficienza diffuse e da enormi lacune in fatto di sicurezza, a cui si aggiunge la nuova minaccia rappresentata dalla diffusione della velenosa ideologia dello Stato islamico - un fenomeno legato all’islam tradizionale quanto io sono legato allo sbarco dell’uomo sulla luna.

Per il momento dovremmo innanzitutto cogliere i tanti elementi che hanno spianato la strada alle attuali disgrazie dell’Iraq, così da non replicarli nel resto della regione. La situazione dell’Iraq non è un caso isolato. I fattori che l’hanno determinata sono presenti in molti paesi del Medio Oriente: un paese creato da interessi stranieri, decenni di dominio di uno stato autoritario megalomane che hanno fatto prevalere corruzione e mediocrità nelle istituzioni statali, l’intromissione strutturale di forti potenze regionali negli affari interni iracheni, ripetuti interventi militari stranieri, cattiva gestione socioeconomica e incompetenza nel governo, frammentazione dello stato centrale in favore di identità e interessi decentrati di stampo confessionale, la riaffermazione del governo di un uomo forte dalla spiccata identità confessionale e, ultimamente, l’ascesa di movimenti militanti che usano la religione per mobilitare supporto e legittimare i loro scopi.

Gran parte di questi elementi esistono in molti altri stati arabi che hanno gli stessi punti deboli, come la Siria, la Libia, lo Yemen, il Sudan, e sotto certi aspetti il Libano, l’Algeria e perfino l’Egitto. Se è facile elencare gli elementi che hanno condotto l’Iraq a questo punto, è molto più difficile trovare il modo di emergere dalla crisi e riportare il paese sulla strada della ripresa e dello sviluppo.

Da dove cominciare? Eleggere o scegliere un nuovo presidente, un nuovo primo ministro e un nuovo presidente del parlamento, come hanno appena fatto gli iracheni? Chiedere un intervento militare straniero per frenare l’espansione dello Stato islamico, come sta accadendo con i bombardamenti aerei statunitensi e la fornitura di armi alle milizie curde? Riorganizzare le forze armate irachene per respingere e liquidare una volta per tutte la minaccia dello Stato islamico? Ristabilire istituzioni nazionali credibili che siano al servizio di tutti gli iracheni, come l’esercito, i settori dell’istruzione e della salute e l’industria petrolifera? Promuovere un governo inclusivo e altri sistemi statali non basati sulle identità confessionali? Combattere la corruzione?

Tutte queste cose devono essere fatte contemporaneamente, e molti encomiabili iracheni stanno già cercando di farlo. Fermare l’espansione dello Stato islamico in questo momento è ovviamente la priorità, perché la capacità dei jihadisti di consolidare e ampliare il loro dominio è conseguenza diretta del crollo dell’autorità statale irachena. La necessità di distruggere lo Stato islamico in Iraq dovrebbe spingere gli iracheni a lavorare insieme per ricostruire le istituzioni e crearea un nuovo senso di cittadinanza e di inclusione.

Nell’immediato l’assistenza militare straniera è necessaria per dare respiro agli iracheni e permettere loro di riorganizzarsi e respingere lo Stato islamico, cosa che non dovrebbe essere difficile con uno sforzo organizzato. È interessante notare come fino a oggi Iraq, Iran, Arabia Saudita, Turchia, Giordania, Stati Uniti e altri attori regionali non abbiano fatto alcun tentativo di unire la forze per schiacciare lo Stato islamico. Tutti questi paesi sono minacciati dall’espansione dei jihadisti e hanno risorse più che sufficienti per distruggere lo Stato islamico, un movimento parassitario che può fiorire solo in aree caratterizzate da caos e mancanza di autorità statale e imponendo il suo dominio attraverso la forza bruta. Più tempo avrà lo Stato islamico per consolidare il suo dominio e magari evolversi in modo da guadagnarsi un sostegno e una legittimazione locale - cosa che gli è finora mancata - più difficile sarà eliminarlo in seguito.

Un governo come quello dello Stato islamico non può offrire agli arabi una vita migliore di quella che hanno avuto sotto lo stato di polizia centralizzato o lo stato confessionale corrotto che hanno sopportato per decenni. L’Iraq è il luogo dove la questione dovrà essere affrontata.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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