22 dicembre 2015 16:03

Questa settimana si commemora il giorno in cui, cinque anni fa, Mohamed Bouazizi si diede fuoco in una cittadina nel sudovest della Tunisia, dando avvio alle rivolte del mondo arabo. Ma la commemorazione offre solo una prospettiva limitata sulla più complessa e importante storia delle rivoluzioni (ancora in corso) e, più in generale, sulla storia del mondo arabo moderno.

In molti nel mondo, tanto per ingenuità politica quanto per motivazioni più oscure, deplorano le violenze che hanno seguito le rivolte e si chiedono perché le insurrezioni popolari non abbiano prodotto transizioni democratiche al di fuori della Tunisia. Più utile e sensato sarebbe invece analizzare il turbolento mondo arabo non limitandosi agli ultimi cinque anni bensì prendendo in considerazione tutto il secolo scorso, dal 1915 a oggi. Per due motivi fondamentali.

Il primo è che il mondo arabo moderno, all’incirca nell’ultimo mezzo secolo, ha conosciuti molti segni significativi di un malcontento di massa e altrettanti tentativi di correggere gli aspetti più odiosi dei regimi autoritari. Ma questi sono sempre falliti per l’impossibilità di scalfire l’intoccabile potere degli autocrati (e il fondamentale sostegno che questi ricevevano da Mosca, Washington, Londra, Parigi, Riyadh e Teheran).

Il secondo motivo è che la tensione che da sempre anima in profondità il mondo arabo non è la lotta per la democrazia, ma semmai il tentativo di costruire uno stato stabile e legittimo, come accade fin dall’ottocento in paesi come Egitto, Marocco, Yemen, Oman, Arabia Saudita e altri.

Un giorno gli storici chiariranno perché gli stati arabi moderni sono rimasti cronicamente e collettivamente instabili

Il problema fondamentale che ha afflitto tutte le società arabe, senza eccezione, continua a essere l’impossibilità di stabilire rapporti basati sul consenso tra cittadini ed élite al potere in grado di definire le seguenti dinamiche fondamentali, necessarie alla stabilità di qualsiasi stato o società : identità, comunità, cittadinanza, organizzazione statuale, sovranità, nazionalismo, dignità socioeconomica, governo e, fondamentalmente, legittimità. Si tratta di una lista enorme, ma è anche la normale lista di relazioni umane, politiche e sociali che ogni società del mondo deve affrontare nel suo cammino verso la costruzione di uno stato stabile e di una vita dignitosa per i suoi cittadini.

Il motivo per cui oggi il mondo arabo attraversa un momento così instabile, con violenze così frequenti, è perché non ha mai davvero cercato di affrontare queste questioni in condizioni di sovranità. Per questo continua a non esistere un consenso su come questi fattori si rapportino l’uno all’altro. Non sorprende quindi che continuiamo a frammentarci in tribù, clan, quartieri, milizie, gruppi etnici e nazionalistici, bande criminali o mafiose, movimenti di resistenza, terroristi, movimenti estremistici, paladini del libero mercato, satrapi e sudditi neocoloniali, sottoculture plasmate dalle ong, burocrazie statali tronfie e corrotte, giganteschi partiti unici militarizzati e altre strutture più piccole cui ci aggrappiamo per ottenere diritti, protezione, servizi, rappresentanza e opportunità che ci aspettiamo ma non otteniamo dai nostri stati sovrani.

Si tratta di un problema tipicamente arabo, e non genericamente musulmano o mediorientale. Esistono infatti paesi mediorientali non arabi o paesi a maggioranza musulmana che sono riusciti a intraprendere questo cammino. Un giorno gli storici chiariranno perché gli stati arabi moderni sono rimasti cronicamente e collettivamente instabili e ampiamente disfunzionali nella loro gestione del potere, segnata da crescenti ineguaglianze nelle condizioni socioeconomiche e sempre più colpiti, oggi, dalla frammentazione nazionale, dal terrorismo settario e da una diffusa violenza nelle loro configurazioni politiche.

Per risolvere i problemi della nostra regione è necessario analizzare come siamo arrivati a questo punto

Per ora faremmo bene a riconoscere semplicemente che, per risolvere i problemi e i pericoli della nostra regione, è necessario analizzare onestamente come siamo arrivati a questo punto, a partire dalle prime esperienze di stato moderno un secolo fa. La corrispondenza Hussein-McMahon del 1915-1916 ha dato avvio alla riconfigurazione dei territori a maggioranza araba dell’Impero ottomano in una sorta di entità statali arabe. Da allora abbiamo vissuto in un’altalena di sviluppo e regressione statale che include straordinari periodi di crescita e imbarazzanti fasi di conflitti civili o di attacchi militari esterni. Alcuni stati arabi si sono divisi in due e poi riuniti, altri sono stati occupati e colonizzati, alcuni sono scomparsi e poi riapparsi, molti hanno cercato di unirsi con i vicini e quasi tutti sono entrati in guerra con gli stati confinanti o con i loro stessi cittadini.

Nell’accidentato percorso tra il 1915 e il 2015 gli stati e le società del mondo arabo hanno ottenuto alcuni risultati straordinari in campi come l’istruzione, l’industrializzazione, l’espressione culturale e altri ancora, ma hanno visto anche il cronicizzarsi di comportamenti criminali da parte di alcuni poteri statali e di molti attori non statuali. Tuttavia al cuore del tormentato secolo scorso è sempre rimasta l’impossibilità di stabilire un rapporto tra stato e cittadino che fosse al contempo stabile, soddisfacente e legittimo. Il petrolio, l’ideologia, il materialismo, la religione, l’appartenenza etnica, l’orgoglio tribale, le memorie e le rivendicazioni storiche e, più recentemente, la guerra, sono stati tutti usati per alimentare la solidarietà nazionale. Ottenendo nella maggioranza dei casi alcuni successi parziali, ma mai definitivi.

L’esplosione delle rivolte arabe, partite dalla Tunisia cinque anni fa, è stata un’importante tappa in questo viaggio lungo e incompiuto. È stata l’espressione simultanea più drammatica e diffusa dell’insoddisfazione di massa e delle aspirazioni condivise dei cittadini arabi. Dobbiamo rendere omaggio ai milioni di persone che hanno preso parte a quest’ultimo nobile tentativo di ottenere dignità e democrazia, agevolando le loro possibilità di riuscita attraverso una migliore comprensione del perché ci siano stati così pochi successi in quest’ultimo secolo di ostinato paternalismo arabo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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