11 luglio 2014 19:09

E di nuovo tornano le stesse immagini. Si ripetono le stesse parole pronunciate dagli stessi esperti, militari e non. Solo gli studi tv sono diversi: alcuni, a differenza dei contenuti, sono stati nel tempo rinnovati.

In un articolo pubblicato il 10 luglio su Ha’aretz, David Grossman parla della disperazione e della speranza. Della pericolosa stanchezza e indifferenza di chi non è più abituato a una realtà diversa.

E la realtà, a dire il vero, sembra non cambiare mai: missili, attacchi, aggressioni, violenza e paura. Una paura esistenziale, tramandata da anni, da generazioni. Una paura che in un istante riesce a dominare ogni ragione e ogni logica. Una paura che fa dimenticare quello che ogni bambino di tre anni, nato più o meno in concomitanza con l’ultima operazione militare sa. E cioè che né la forza né la violenza non possono essere la risposta. Ne sono coscienti anche i suoi genitori, ma la vita glielo ha fatto dimenticare.

Non molto diversamente dai quattro ragazzi rapiti e poi uccisi in queste settimana, due popolazioni sembrano essere prese in ostaggio da voci estremiste, da una leadership politica incapace di dialogare, da tensioni irrisolte figlie di questa realtà.

Mentre scrivo due missili cadono non lontano dalla casa dove sono nata e cresciuta. La casa dove vivono ancora i miei. Il quartiere di casa mia è cambiato molto negli ultimi vent’anni. I campi aperti dove ho trascorso la mia infanzia si sono trasformati in ville lussuose con piscina o in palazzi alti per giovani coppie borghesi con bambini.

Anche la mia vecchia stanza è stata trasformata in una stanza per gli ospiti, adattandosi alle nuove esigenze di una famiglia una volta numerosa, tornata a essere un nido per due. Una sola stanza è rimasta come prima: il rifugio in cui ho trascorso giorni e notti nascosta dietro una maschera antigas, durante la guerra del Golfo. La stessa stanza diventata il centro della casa in altre guerre.

L’unica nuova realtà che sembra essere arrivata sono i social network, che con il passare del tempo assumono un ruolo attivo, muovendosi sulla falsa riga del conflitto. Discutono, attaccano reagiscono. Con toni sempre più accesi. E questo in nome di una sorta di pseudo giustizia.

Questa libera propaganda, feroce, parziale inesatta fino a diventare completamente falsa, forma le menti e incrementa più odio e rabbia più che mai. E quando non ci sono parole, sono le immagini che gridano. Vere o presunte tali, come rivela il servizio della Bbc a proposito dell’hashtag [#gazaunderattack][1].

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Immagini che fanno il giro del mondo e provocano odio e disperazione in due popoli stanchi e torturati dalle voci che gridano vendetta e fanno perdere ogni speranza di una vita normale. Senza neppure pronunciare la parola tabù: pace.

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