05 maggio 2016 16:57

Dall’inizio dell’anno in Europa sono arrivati, via terra o via mare, 188.682 profughi. Almeno altri 1.343 sono morti o dispersi. Nello stesso periodo, 207 profughi sono arrivati a Roma in aereo, sani e salvi.

A Idomeni, in Grecia, undicimila profughi arrivati con barconi e scafisti sono accampati a poche centinaia di metri dal confine macedone: con servizi inadeguati, aiuti umanitari insufficienti, esposti a sole, pioggia e arbitrio delle autorità. Ora i turchi possono entrare in Europa senza visto, dicono, invece a noi che fuggiamo dalla guerra la polizia lancia gas lacrimogeni. I profughi arrivati a Roma, intanto, sono stati smistati in varie regioni e città italiane, avviando un percorso di integrazione o ricollocamento.

Qual è la differenza? Vengono tutti più o meno dalle stesse zone: Aleppo, Homs, Deir Ezzor, Damasco, ma i duecento “fortunati” si sono potuti avvalere dell’articolo 25 del regolamento visti dell’Unione europea, che prevede che ogni stato dell’Unione europea possa rilasciare dei visti “a territorialità limitata” per motivi umanitari, interesse nazionale o obblighi internazionali. È l’articolo all’origine dei corridoi umanitari, che consentono a persone in fuga dalla guerra e in condizioni di vulnerabilità (vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, donne sole, anziani, malati, persone con disabilità) di arrivare in Italia legalmente e in sicurezza.

Era l’unico modo di fuggire dalla guerra o dai campi profughi evitando i barconi, perché lo stesso regolamento europeo non prevede la possibilità di chiedere asilo nelle ambasciate. Il ministero degli esteri e quello dell’interno italiani forniscono i visti, ma l’operazione è gestita e finanziata da tre organizzazioni: Comunità di sant’Egidio, Federazione delle chiese evangeliche in Italia e Tavola valdese e prevede l’arrivo di un migliaio di persone in due anni. Le associazioni individuano i nuclei familiari o le singole persone che si trovano nei campi profughi di Libano, Marocco ed Etiopia e che hanno maggior urgenza di arrivare in Europa, per esempio per motivi di salute. In accordo con le autorità locali le fanno arrivare in Italia. Il progetto è sostenuto da contributi volontari (per lo più ricavati dal 5 e dall’8 per mille), fondazioni, associazioni, privati, religiosi.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di sant’Egidio, ha spiegato che i corridoi umanitari sono, oltre a un segno di solidarietà, “anche una protesta contro la guerra che insanguina la Siria”. Sono insomma un modo per non far finta di non vedere il crimine di guerra che è in corso con l’assedio di Aleppo e il bombardamento dei suoi ospedali. Ma sono anche una protesta contro il fallimento dell’operazione di ricollocamento dei profughi, fissata dall’Unione europea nel settembre del 2015 e che finora ha dato dei miseri risultati: 1.441 ricollocati su 160mila previsti. Ora si propone di multare i paesi che non accettano di accogliere i profughi. Ma è necessario arrivare a questo?

L’esempio americano

Nel dicembre del 2015 il primo ministro canadese Justin Trudeau era andato personalmente all’aeroporto ad accogliere il primo gruppo di profughi siriani che il suo governo aveva deciso di fare entrare nel paese: il progetto è di farne arrivare 25mila entro il 2016. Più di quanti ne prevede Barack Obama, che dovrebbe ricollocarne diecimila entro la fine dell’anno. Finora negli Stati Uniti sono arrivati circa 1.300 profughi siriani, ma Washington si è impegnata ad alzare a centomila il tetto di profughi accettati ogni anno.

Certo, si parla di Stati Uniti e Canada, due nazioni enormi. Ma che in tutta la loro storia hanno saputo gestire i flussi migratori non solo come un’emergenza ma con realismo, attuando meccanismi e strutture (come uffici per l’immigrazione presenti nelle aree di provenienza dei migranti, o limitrofe) in grado di gestire l’arrivo nei rispettivi paesi di un flusso di migranti considerati non solo portatori di problemi. D’altronde anche in Italia gli stranieri portano aria fresca: secondo l’Istat, l’8 per cento del prodotto interno lordo è prodotto da cittadini stranieri.

Quello dei corridoi umanitari è un modello che l’Italia può esportare in altri paesi europei. Davanti al rischio della fine del trattato di Schengen e delle fondamenta umanistiche dell’Europa comunitaria, l’accoglienza di chi scappa da una casa che brucia, la Siria, non è solo un dovere ma anche un diritto. Il diritto di accogliere degnamente Tarek, che ha due anni e ha vissuto sempre sotto la guerra, o Hosep, un armeno che di anni ne ha 83 e di guerra ne ha vista troppa. E di non creare dei mostri come Idomeni nel cuore dell’Europa.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it