19 ottobre 2007 13:00

Alla tavola rotonda partecipava anche l’ambientalista David Suzuki. Stavamo discutendo di viaggi sostenibili, la conferenza si svolgeva a Macao e di fronte a ognuno di noi c’era una bottiglia di acqua minerale Evian fatta arrivare apposta dalla Francia.

Trasportare l’acqua da una parte all’altra del mondo è chiaramente un modo assurdo di usare le risorse, e dato che ci stavano occupando di problemi ambientali, era inevitabile che prima o poi la bottiglia attirasse la nostra attenzione.

L’industria dell’acqua in bottiglia ha un giro d’affari enorme: gli americani spendono più di 10 miliardi di dollari all’anno in bottiglie d’acqua. Nonostante tutte le immagini di ruscelli di montagna e i discorsi sulle fonti purissime, sembra che il 40 per cento dell’acqua che viene imbottigliata esca da un rubinetto.

In alcuni paesi, la sigla Pws sulle bottiglie d’acqua sta per Public water supply, e indica chiaramente che proviene dall’acquedotto pubblico. L’assurdità di vendere acqua del rubinetto come se fosse qualcosa di speciale e spedirla in giro per il mondo, quando si potrebbe attingere alle risorse locali, è solo metà del problema. Per non parlare dei costi che bisogna sostenere per fabbricare le bottiglie di plastica, uniti a quelli per eliminarle.

Il problema dello smaltimento delle bottiglie vuote è particolarmente grave nei paesi poveri, dove la gestione dei rifiuti è sempre molto difficile. Bisogna aggiungere, però, che in alcuni paesi in via di sviluppo l’acqua potabile può provocare dei disturbi, per questo ai viaggiatori viene sempre consigliato di “non bere l’acqua di rubinetto”. Non c’è da stupirsi quindi per il boom delle vendite dell’acqua in bottiglia.

Internazionale, numero 715, 19 ottobre 2007

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