21 gennaio 2016 12:47

Le mie due gemelle compiono 18 anni questa settimana, e neanche ora che l’ho scritto riesco a crederci. Adulte. Le mie bambine sono adulte. Ancora non mi capacito.

Per tutto il periodo natalizio non ho fatto altro che pensare all’ultimo Natale prima che nascessero. Avevamo cancellato tutti i viaggi in programma per restare vicini all’ospedale, e sono rimasta a casa tormentata dal mal di schiena, aggrappandomi ai mobili come un’ubriaca e addormentandomi davanti a La donna che visse due volte. Ogni sera mi stendevo nella vasca da bagno, con la sommità del pancione che spuntava fuori dell’acqua come l’isola deserta di un fumetto.

Superpoteri svaniti

E poi è arrivato capodanno e le cose sono precipitate, i problemi sono diventati un’emergenza e le bambine sono nate con sei settimane di anticipo. Due scriccioli che pesavano ognuna meno di due chili, e giacevano magre e indifese nelle loro incubatrici, una rossa come un peperone e l’altra bianca come un lenzuolo. Raggomitolate, coperte di una soffice peluria come foglie. Pensavo che sarei morta d’amore per loro. Lo penso ancora.

Per qualche anno sono stata la regina del loro piccolo universo, onnisciente e onnipotente, finché gradualmente – e così impercettibilmente che non me ne sono neppure accorta – i miei superpoteri sono svaniti. E loro, zitte zitte, mi hanno raggiunto e superato. Così oggi sono piena di dubbi all’idea di dispensare consigli e parole di saggezza.

Anche se lo volessi, c’è chi lo ha già fatto in modo brillante prima di me. Nel suo libro Bossypants, Tina Fey ha scritto “Preghiera per una figlia”, uno spassoso riepilogo di tutte le speranze e le paure di una madre. “Che possa essere bella ma non fragile / perché è la fragilità che attira l’attenzione dell’allenatore di calcio molesto, non la bellezza. / Quando le offriranno la metanfetamina / possa ricordarsi di quando i suoi genitori le tagliavano in due i chicchi d’uva per non farla strozzare / e accontentarsi della birra”. Visto che essere genitori significa vivere in un terrore costante, siamo sempre felici quando abbiamo una scusa per riderci su.

Preferisco invertire le parti e dire alle mie figlie qualche grazie

Anche Caitlin Moran ha scritto alla figlia adolescente una lettera aperta, piena di tenerezza e di incoraggiamento: “Scegli i tuoi amici tra quelli con cui ti senti più libera di essere te stessa, con cui puoi scherzare e sentirti come se indossassi il tuo abito migliore anche quando porti una maglietta”. Un ottimo consiglio, e non troppo difficile da mettere in pratica.

Solo che a questo punto ho l’impressione che i migliori consigli siano già stati dispensati. Così preferisco invertire le parti e dire alle mie figlie qualche grazie.

Grazie di avermi insegnato a inviare un sms. Vi ricordate quando ho comprato un cellulare e per il primo anno non mi sono resa conto che la gente mi inviava i messaggi? Quanto abbiamo riso. E quanto ho avuto bisogno del vostro aiuto. E poi, grazie di avermi insegnato il significato di tutti gli acronimi e delle ultime espressioni gergali. Anche se ho il sospetto che alcune ve le inventiate, per poi ridere di me che vi ho creduto.

Grazie di cambiare lo screensaver del mio tablet ogni volta che giro le spalle. Adoro l’ultimo che mi avete messo, quello con il ballerino Aljaz di Strictly come dancing.

Grazie di essere ancora sorprese ed entusiaste ogni volta che faccio qualcosa come collaborare a un disco di John Grant. Lo avevate comprato perché Grant vi era piaciuto in un’intervista, e quando avete sentito che ci cantavo anch’io siete corse giù per le scale, elettrizzate.

E grazie di aver visto con me l’adattamento di Dieci piccoli indiani della Bbc. È stato fantastico quando ho detto che Noah Taylor e Anna Maxwell sembravano Nick Cave e PJ Harvey in un B&B goth, e voi vi siete guardate e avete sorriso perché non pensavate che conoscessi Nick e Polly.

Ma soprattutto, anche se da oggi siete ufficialmente adulte, grazie di essere ancora adolescenti. Lo so che è dura: sempre sotto pressione, con gli esami e tutto il resto. Ma non c’è niente di più bello che vedervi felici perché potete bucarvi le orecchie, tagliarvi i capelli o tingerli di rosa, o fare una qualsiasi delle tante altre cose che a me non erano permesse.

Non ho nessun consiglio da darvi, allora? Direi di no. A parte il fatto che so che a volte anche voi, come tutti i giovani – e oggi pure i vecchi, in realtà – vi preoccupate di essere cool. Ma non fatelo. Chi se ne importa? Essere cool è sopravvalutato. Warm è meglio.

(Traduzione di Diana Corsini)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.

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