03 ottobre 2016 18:07

C’è aria di cambiamento. Condensa sulla finestra della camera da letto, stamattina. Un colpo di freddo uscendo dalla doccia, che mi ha fatto tremare. Fuori, le foglie cominciano ad arricciarsi virando verso il marrone e i fiori che nella pigrizia di fine estate non ho raccolto mi dicono che ormai l’estate è finita davvero. “Cambia e declina tutto ciò che vedo intorno a me”, recita l’inno. E al di là della recinzione del mio giardino sono cominciati i lavori nel cantiere dell’Apocalisse, quindi so che intorno a me vedrò soprattutto ruspe e fango.

Il mio figlio più piccolo è di nuovo in divisa, e presto sarò anch’io in tenuta invernale: abito a tunica, calzamaglia nera e stivali. La mia abbronzatura si squamerà dentro le calze, nonostante le creme idratanti; e per la nuova stagione comprerò qualcosa di nuovo che sarà identico a qualcosa che ho già, solo di un colore diverso. Vi presento il vestito nuovo: identico a quello vecchio. Variazioni sullo stesso tema, più che cambiamenti.

Eppure quest’anno un cambiamento dovrò affrontarlo, e non il solito cambio stagionale della routine. Una delle gemelle è già all’università, l’altra frequenta l’accademia di belle arti e anche se per un anno continuerà a vivere a casa, starà fuori quasi tutto il tempo, preparandosi per il giorno in cui se ne andrà. Le abitudini degli ultimi 18 anni stanno per essere spazzate via, e io mi faccio forza.

Un cambiamento desiderabile
Dalla buca delle lettere vola giù una cartolina, che si rivela essere il volantino di un life coach. “Qual è la prima cosa che cambieresti oggi?”, mi chiede a bruciapelo. “In una scala da zero a dieci, quanto è importante per te riuscire a cambiarla?”; e “Quali altri aspetti della tua vita vorresti cambiare?”.

“Ah, life coach”, penso, “sei capitato nella casa sbagliata. Non sono la tua cliente ideale. Vuoi proprio saperlo? Non cambierei niente. Sono una creatura felicemente abitudinaria, che in questo momento è trascinata a forza in una nuova fase della vita. E in una scala da zero a dieci darei un bell’undici perché tutto restasse uguale per sempre”. Purtroppo non è un’opzione realistica. Così, per non buttarmi giù, cerco di vedere i lati positivi e anziché concentrarmi sul nido vuoto penso al tavolo della cena meno pieno, e mi rendo conto che potrebbe essere un cambiamento desiderabile.

“Caro life coach, ora che mi ci fai pensare, un piccolo aspetto della mia vita che vorrei cambiare ci sarebbe, ed è la ripetitività dei pasti familiari che cucino una settimana dopo l’altra. Ci risiamo: è martedì, il giorno del pollo al curry!”.

Cucinare per una famiglia ha più a che fare con la diplomazia internazionale che con gli esperimenti di Master chef

Non mi servono ricette, potrei cucinare quei piatti a occhi chiusi o perfino ubriaca. Solo che da ubriaca non mi capita, perché i giorni feriali mi siedo a tavola senza un goccio di alcol in corpo, stringendo tra le mani un bicchiere di acqua frizzante, patetica imitazione di un gin tonic, con tanto di stupida fettina di lime che non inganna nessuno. Cucinare è divertente se sei il conduttore di uno show televisivo, che sorseggia vino rosso mescolando un goulash. Ma cucinare per una famiglia ha più a che fare con la diplomazia internazionale che con gli esperimenti di Master chef.

Si tratta di accontentare tutti. O almeno qualcuno, ogni tanto. Devi fare i conti con restrizioni dietetiche individuali dovute a problemi di salute o allergie, con il vegetariano occasionale, con il rifiuto intermittente dei carboidrati da parte di alcuni membri della famiglia. E con gli schizzinosi. Poter dire che i tuoi figli “mangiano di tutto” è un motivo di vanto per un genitore di classe media, ma è una questione di fortuna, non di capacità. La più schizzinosa della famiglia ha un senso molto sviluppato dell’odorato e del gusto (come Nigel Slater, che ha scritto di essere stato un bambino schizzinoso), quindi tendo a credere che sia solo più selettiva, e che diventerà una sommelier o una chef.

Ora, però, con meno gusti diversi da accontentare, sto cercando di variare il mio repertorio culinario. Ho riaperto i libri di cucina rimasti a prendere polvere sullo scaffale in cucina, e ho fatto una lista di insalate che avevano un aspetto allettante. Ho scoperto nuovi piatti interessanti a base di verdure. La mia copia del libro di ricette dello chef Yotam Ottolenghi è piena di Post-it e di pagine con le orecchie. Il mio figlio più piccolo, che è ancora costretto a vivere a casa, non immagina che cosa l’aspetta. Per fortuna sa che sono una creatura felicemente abitudinaria e che nel giro di una settimana sarò tornata allo sformato di carne e patate. Cambiare va bene, ma è meglio non esagerare.

(Traduzione di Diana Corsini)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman

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