06 febbraio 2014 09:00

I corsi online (mooc) dopo qualche diffidenza sono stati accolti con grandi entusiasmi prima negli Stati Uniti, poi in Europa e nel resto del mondo. Entusiasmi di università che ne curano la produzione, di finanziatori pubblici e privati che li sostengono, di docenti che ne vedono il potenziale didattico innovativo, di persone che accedono ai corsi e studiano. I mooc aprono la strada alle flipped classroom, cioè a una didattica in cui il tempo di lezione non è dedicato più all’esposizione di contenuti che i mooc possono illustrare meglio della consueta lezione frontale, ma alla discussione comune e miglior comprensione dei contenuti.

Ora però, a pochi anni dalla loro comparsa sulla scena, i mooc non incontrano più una diffidenza generica, ma obiezioni precise, alcune riecheggiate più d’una volta in Bloomberg Technology. Il 20 novembre Nicole Ostrow osservava che i mooc non sono democratici: se ne servono soprattutto studenti benestanti e preparati. Il fatto è che le lezioni sono impegnative e, commenta Ary Lewy (14 gennaio), le utilizzano solo i più bravi. Solo un passo per arrivare a dire che i mooc sono uno strumento selettivo, che svilisce l’insegnamento ed è asservito al capitale internazionale. In Francia un “collectif anti-moocs” e varie sigle sindacali condannano come “neoliberali” le ministre socialiste di istruzione e università, Valérie Pécresse e Geneviève Fioraso, per l’appoggio dato alle università che hanno prodotto tre corsi di matematica per la piattaforma Cursera.

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