29 gennaio 2015 10:50

Nei paesi postcomunisti l’istruzione continua a essere una cosa seria. Gli adulti hanno livelli di competenza più alti della media internazionale, la Russia lascia indietro di molti punti i paesi leader dell’occidente. E le università russe attraggono il 4 per cento degli studenti migranti, i mobile students, quasi quanto le francesi, come le giapponesi, più delle canadesi. Tuttavia anche in Russia diminuiscono i fondi per le università pubbliche. Le università si sono adeguate in parte al processo di Bologna, rendendo però più lungo e severo il percorso di studi. Ma non tutto funziona bene.

Lo sostengono Isak Froumin e Mikhail Lisyutkin, rispettivamente direttore e ricercatore dell’Istituto per l’educazione da tre anni attivo nella Higher school of economics di Mosca. Secondo un loro studio del novembre scorso sta calando l’efficienza complessiva delle università rispetto agli indicatori fissati alcuni anni fa.

Partendo dai dati forniti annualmente dal ministero dell’istruzione e da interviste a docenti, lo studio mostra che fatti esterni, come l’aumento del numero di studenti, la fuga di cervelli per basse retribuzioni e la contrazione di risorse pubbliche, richiederebbero ripensamenti e strategie innovative nella didattica e nell’organizzazione e amministrazione delle università. Ma i docenti, e non solo quelli più anziani, sono arroccati su posizioni conservatrici. Rifiutano ogni cambiamento e intanto non si arresta il declino della qualità dei risultati.

Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2015 a pagina 86 di Internazionale, con il titolo “Dalla Russia un malumore”. Compra questo numero | Abbonati

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