21 gennaio 2016 11:13

Quando l’insegnamento favorisce la collaborazione tra gli allievi, nell’aula questi tendono a disporsi in circolo o a raccogliersi in gruppetti, ciascun gruppetto intorno a un tavolino, un “isolotto”, un îlot, dicono in Francia. Qui il proposito di trasferire la didattica collaborativa dalle elementari alle superiori fa risuonare il richiamo agli îlot come “un basso continuo” delle proposte di riforma, lamenta una docente, Mara Goyet. Lei ci ha provato a dislocare i suoi alunni in isolotti. Ma ha avuto pessimi risultati ed è tornata a fare lezioni frontali ad alunni schierati nei banchi. “Per ogni îlot che introducete ripristinate una cattedra”, è il suo grido. Le Monde le ha dato voce il 5 gennaio.

Tre giorni dopo però ha dato spazio a Marion Roche, che insegna in un liceo della periferia nord di Parigi. “Volevo insegnare per stare tranquilla”, dice, “ma poi mi sono entusiasmata”. Marion ha percepito quanto gli alunni della banlieue stentino a passare da un grido emotivo come il loro provocatorio “Je ne suis pas Charlie” a un’espressione che argomenti la loro istintiva protesta. Perché non sono e non vogliono “essere Charlie”? Perché credono che gli attentati nascano da un complotto delle autorità? Imparare a selezionare prove e ragioni pro e contro è già un passo verso la partecipazione. A turno le classi vanno nell’atelier di madame Roche e lavorano in gruppetti intorno ai vari îlot a discutere e infine costruire insieme una scrittura collettiva argomentata.

Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2016 a pagina 97 di Internazionale, con il titolo “Le isole emergenti”. Compra questo numero| Abbonati

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