06 maggio 2016 20:05

Michele è un corrispondente segreto di questa rubrichetta. È “il nostro agente all’Avana” che, quando i pesanti impegni di studio lo permettono, manda qualche riflessione concreta e preziosa sulla sua esperienza di ragazzo italiano che ha deciso di studiare negli Stati Uniti.

Nelle settimane passate Michele è stato assorbito dalla preparazione di una, anzi di più d’una essay (Michele usa il femminile nel parlarne): un breve resoconto dei suoi studi e, soprattutto, una presentazione credibile dei motivi per cui da una università, dove si trova bene, vuole passare in un’altra. Negli Stati Uniti a chi si accinge a un passo del genere viene richiesto questo “pezzo di carta” che è preso molto sul serio da chi lo scrive e da chi deve valutare la richiesta.

Tanto la cosa è impegnativa che esistono siti in cui si comprano modelli di essay. E questa specie di uomini di burro telematici promettono ai pinocchi statunitensi paper writing in a few steps. Non solo a Napoli, ma anche nelle commissioni statunitensi che esaminano le domande nisciuno è fesso: le domande liofilizzate, non personali, le riconoscono a prima vista. Il fatto è che viene sentita come una cosa molto seria da chi insegna e da chi studia aggregarsi a una università, ai suoi specifici modi di vita che tendono a investire il processo di formazione e crescita di allieve e allievi in una maniera più ampia, attenta e forse profonda che da noi, nella vecchia Europa continentale.

Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2016 a pagina 99 di Internazionale, con il titolo “Cambiare università negli Stati Uniti”. Compra questo numero| Abbonati

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