26 settembre 2016 12:03

Caso quasi unico tra paesi in cui sotto un regime dittatoriale sono stati commessi omicidi di massa, l’Argentina è riuscita non solo a mettere dietro le sbarre un gran numero di ex torturatori, ma a far maturare in tutti gli schieramenti politici un consenso trasversale sul fatto che il regime militare al potere tra il 1976 e il 1983 abbia messo in atto un genocidio a bassa intensità in stile nazista.

Il dittatore del paese, Jorge Videla, è stato processato appena due anni dopo il ritorno della democrazia, e da allora più di mille ex ufficiali sono stati condannati, facendo del paese un caso eccezionale tra le ex dittature dell’America Latina. Il Cile ha raggiunto un numero simile di condanne, ma il suo dittatore Augusto Pinochet è morto senza aver mai subìto un solo giorno di processo. In Brasile e in Uruguay, dove sono ancora in vigore ampie amnistie, ai torturatori è stato concesso di uscire di scena con discrezione per garantire una transizione democratica tranquilla.

Il consenso dell’Argentina sulla gravità dei crimini commessi durante la dittatura però è stato improvvisamente rotto dal presidente di centrodestra Mauricio Macri.

All’inizio di agosto, Macri ha fatto saltare i nervi della comunità di attivisti per i diritti umani quando è sembrato che volesse mettere in dubbio la lettura storica accolta da tempo, secondo cui le persone morte all’epoca della dittatura sono state trentamila. Quando, nel corso di un’intervista rilasciata a Buzzfeed, gli è stato chiesto quante persone fossero state uccise, ha risposto testualmente: “Non ne ho idea. È un dibattito in cui non ho intenzione di addentrarmi, si tratti di novemila o trentamila”.

Alcuni simpatizzanti dell’ex regime da tempo sollevano dubbi sul numero dei desaparecidos, ma con le parole di Macri per la prima volta questa retorica negazionista è stata ammessa nel discorso politico ufficiale.

Mario Ranaletti, professore di storia all’università Tres de Febrero, ha studiato la mentalità dei gruppi negazionisti argentini. “Considerano la repressione militare una cosa positiva, un’azione insindacabile sotto il profilo morale”, dice. “Per loro la guerra fredda è stata una guerra di religione”. Ancora oggi a Ranaletti capita di sentire degli argentini che affermano che “avrebbero dovuto ucciderli tutti quanti”.

Secondo il pensiero negazionista non ci fu genocidio ma una battaglia interna tra dittatura e terroristi

La cifra di novemila a cui si è riferito Macri corrisponde a una lista di nomi compilata nei primi anni della democrazia dalla Commissione nazionale sui desaparecidos (Conadep). A lungo spacciata dai negazionisti come l’unico conteggio valido, la lista non era stata stilata in forma definitiva. Gli stessi militari a metà del 1978 riferirono ai servizi segreti cileni di aver ucciso 22mila persone. Cinque mesi dopo, la dittatura informava il nunzio papale a Buenos Aires di aver ucciso 15mila persone, come dimostrano alcuni documenti statunitensi desecretati.

Il lavoro di identificazione dei resti umani in fosse comuni senza nome continua ancora oggi. E la lista della Conadep non comprende le vittime recuperate, i cui corpi sono stati restituiti alle famiglie, né il numero sicuramente alto di vittime non denunciate.

Sommati insieme, questi fattori rendono la stima di trentamila vittime elaborata dai gruppi di attivisti per i diritti umani piuttosto ragionevole; magari perfezionabile grazie alla ricerca accademica, ma mai messa in discussione prima d’ora da un presidente in carica. Anche l’uso da parte di Macri dell’espressione “guerra sporca” combacia perfettamente con il pensiero negazionista, secondo cui non ci fu alcun genocidio, ma piuttosto una battaglia interna tra dittatura e terroristi.

In parte per fermare questa tendenza strisciante, la suprema corte argentina aveva stabilito nel 2009 che gli omicidi commessi dalla dittatura tra il 1976 e il 1983 furono dei “crimini contro l’umanità inquadrabili come genocidio”.

Le informazioni degli Stati Uniti
La frattura sui crimini della dittatura è sfociata in insulti verbali nella città di Córdoba, dopo che i giudici hanno inflitto 28 ergastoli a ex ufficiali ritenuti colpevoli di 365 omicidi nel campo della morte di La Perla.

Fuori del tribunale la sostenitrice dei militari, Cecilia Pando, ha insultato Estela de Carlotto, la leader di 85 anni delle Abuelas de plaza de Mayo, un gruppo di eroiche nonne che in quasi quarant’anni hanno recuperato 120 dei loro nipoti dalle famiglie a cui li aveva affidati l’esercito quando le loro madri erano state assassinate subito dopo aver partorito. “Non erano giovani idealisti, erano terroristi”, ha urlato Pando a Carlotto, in riferimento ai figli “scomparsi” di Carlotto e di migliaia di altre madri.

Il regime sosteneva apertamente di difendere ‘la civiltà occidentale e cristiana’

Forse incoraggiata dai recenti incontri con il ministro della giustizia di Macri, Germán Garavano, Pando stava dando libero sfogo a un concetto sostenuto con forza dai simpatizzanti del regime, e cioè che le vittime innocenti fossero pochissime tra coloro che furono assassinati dai militari .

Ma, all’epoca, l’ambasciata statunitense a Buenos Aires aveva informazioni diverse: i militari argentini avevano eliminato rapidamente le poche centinaia di guerriglieri coinvolti in azioni mortali, poi cominciarono ad assassinare migliaia di altri giovani che non avevano alcun legame con attività violente. “Poche tra le persone scomparse dalla metà del 1977 potrebbero essere considerate terroristi o minacce per la sicurezza”, si legge in un cablogramma del dipartimento di stato americano desecretato da Barack Obama dopo la sua visita in Argentina del marzo scorso.

Le cifre riguardanti il numero dei morti, inoltre, resistono a qualsiasi idea di una guerra in corso. In un rapporto del 1980 intitolato “Terrorismo in Argentina”, la dittatura stimava che i guerriglieri avessero ucciso 687 persone tra l’inizio e la fine degli anni settanta, mentre riferì all’intelligence cilena di aver ucciso 22mila persone nel solo 1978. Nel campo della morte dell’Esma, a Buenos Aires, almeno tremila civili furono uccisi dalla dittatura. Tuttavia, solo un ufficiale dell’Esma, il tenente Jorge Mayol, morì in uno scontro con i guerriglieri nel 1976.

Una sponda favorevole
L’esercito aveva un bersaglio molto più esteso dei soli gruppi guerriglieri, che nel 1976 erano già in rotta. Il regime sosteneva apertamente di difendere “la civiltà occidentale e cristiana” trasformando l’Argentina nella “riserva morale del mondo occidentale”. Per questo, dovevano migliaia di giovani influenzati e convinti dalla cultura hippie americana, dal maggio parigino del 1968 e dalla rivoluzione cubana. “La nostra identità cristiana era in pericolo”, ha testimoniato il comandante di polizia Miguel Etchecolatz al suo processo, baciando il suo rosario bianco davanti al giudice.

Tuttavia, i sostenitori della dittatura, che adesso hanno tutta l’attenzione del governo di Macri, uomini come Etchecolatz sono “prigionieri politici” che andrebbero amnistiati. Victoria Villarruel ritiene che siano stati i guerriglieri e non l’esercito ad avere commesso crimini contro l’umanità. Villarruel rappresenta il Celtyv (Centro di studi legali sul terrorismo e le sue vittime), un gruppo che vorrebbe la riapertura dei processi contro gli ex guerriglieri anche se la corte suprema ha stabilito in via definitiva che le azioni di guerriglia erano reati comuni da tempo andati in prescrizione.

Queste opinioni sembrano aver trovato una sponda favorevole nell’amministrazione Macri. “L’oggetto della loro ricerca, cioè l’individuazione dei civili uccisi da gruppi terroristici, è molto importante”, ha detto Claudio Avruj, il ministro per i diritti umani che ha incontrato Villarruel. Alejandro Rozitchner è l’autore dei discorsi di Macri, nonché amico di vecchia data del presidente. È un filosofo che parla apertamente del suo consumo di marijuana, e ritiene che l’Argentina abbia rimuginato fin troppo sugli anni settanta. “Si tratta di tenere aperto un passato che si allontana sempre di più”, ha detto.

Parole simili sono dolorose per Carlotto. “Per me o per le altre madri, nonne e figli di persone scomparse non è il passato”, dice. Carlotto ha riabbracciato suo nipote solo nel 2014, 36 anni dopo che i militari uccisero sua figlia che aveva partorito in uno dei loro campi della morte. Secondo le sue stime, sono 280 i nipoti scomparsi ancora da ritrovare. “Cosa fingono con questo nuovo linguaggio che hanno inventato per i diritti umani?”, si chiede Carlotto. “Perché incontrano i rappresentanti di gruppi che sostengono che gli assassini in carcere sono in realtà prigionieri politici? Non sono prigionieri politici, sono colpevoli di genocidio, assassini abominevoli che rifiutano di confessare a chi hanno dato i nostri nipoti”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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