14 settembre 2016 12:48

Mi trovo in una meraviglia di albergo a 1.900 metri di altitudine, sulle Dolomiti. Da qui si può salire fino a tremila metri, dove c’è un ghiacciaio. Nessun discendente della stirpe degli Ignat e dei Ciolan era mai arrivato a queste altitudini, nonostante tutti gli stereotipi diffusi dai miei benevoli compatrioti, grandi ammiratori dei corvi (come in Romania sono spregiativamente chiamati i rom) e, quindi, del gruppo etnico di mia madre.

Prendo parte a una conferenza dove tutto è bello e ben organizzato. Sto ascoltando un venerabile rabbino baciato dall’ispirazione, che parla del nostro rapporto con il divino come se volesse vincere il campionato del mondo di magniloquenza. Illuminato dalla pietà, penso a quanto ci starebbe bene una bella festa con tanto di grigliata e con la musica di Guta e di Salam (due cantanti di manele, un genere di musica pop suonato soprattutto dai rom e molto in voga). Magari organizzata sul ghiacciaio che si vede dalla finestra, tanto per entrare nel Guinness dei primati per i barbecue ad alta quota.

Il rabbino di Firenze continua il suo intervento con un entusiasmo degno di una partita di curling all’ultimo sangue. Posso giurare che le due energiche mosche che avevo visto al mio arrivo sono sparite: si saranno già tagliate le vene. Qui la situazione si fa abbastanza noiosa, così decido di andarmene a visitare le bellezze dei dintorni.

Sentirsi a casa
Sono a due ore di auto dall’aeroporto di Milano, al passo del Tonale. Mi viene fame. Il ristorante dove mi fermo a mangiare sembra arredato da mia madre con i consigli di zia Lili e i soldi di Gigi Becali. Sulla parete davanti a me è dipinto un lago che ricorda i laghi glaciali delle parti nostre. Accanto al lago si muovono alcuni orsi. Sono tre. Sulla riva c’è anche un castoro. L’unico problema è che il castoro ha le stesse dimensioni degli orsi. E potrebbe essere qualsiasi altro animale, forse un topo o una lontra. Non ho mai avuto il minimo talento per il disegno, ma sento che avrei potuto facilmente dipingere qualcosa di simile.

Il paesaggio è completato da montagne e boschi e da un momento all’altro ti aspetti che faccia la sua comparsa il cavallo rappresentato sul tappeto con la scena del Ratto del serraglio venerato da mia madre ai tempi di Ceausescu, quando ancora non avevamo le 68 icone e le 43 Ultime cene che hanno arricchito la nostra casa dopo la rivoluzione.

Per fortuna poco dopo mia madre si è convertita a una qualche setta evangelica, e io mi sono potuto liberare di tutto. Sono rimasti solo mio padre e le sue bottiglie, nonostante i nostri desideri e le nostre preghiere.

La pizza è favolosa. Mi lecco le dita, come un vero gentiluomo

I tavoli sono decorati con tre strati di tovaglie, tutte di dimensioni diverse, messe una sull’altra: una gioiosa incarnazione del trionfo del kitsch che mi fa sentire a casa. Le sedie, i fiori finti, il soffitto decorato con il legno, le lampade eleganti appese al soffitto, i merletti e i tovaglioli sulla tavola mi fanno pensare che mia madre stia per uscire dalla cucina. Invece arriva una piccola signora piuttosto scura, come mia mamma, che viene a prendere la comanda.

Ordino un minestrone e una pizza. Il minestrone è salatissimo, cosa che accentua la sensazione di sentirmi a casa. Per un attimo penso di protestare, ma da come urla al marito che fa la pizza, ho paura che la signora mi possa sbattere la ciotola in testa. Faccio esattamente come facevo con mia madre e accompagno la zuppa con un litro d’acqua. Se non fosse stata così salata, sarebbe stata ottima.

Poi la signora mi sbatte la pizza sul tavolo con lo stesso entusiasmo con cui mi ha accolto il funzionario di frontiera quando ha visto un tipo scuro di pelle e con la barba lunga sbarcato dalla Romania con un volo low cost della Wizzair. Passato il controllo ho pensato di salutarlo con un elegante “Allahu akbar”, ma mi sono astenuto, temendo che nemmeno il passaporto diplomatico con cui ero arrivato mi avrebbe salvato da un controllo corporale fin troppo approfondito.

La pizza è favolosa. Mi lecco le dita, come un vero gentiluomo. Nel frattempo la donna fa a pezzetti il cervello del marito con una voce e una cadenza che rivelano anni di esperienza. Non oso chiedere il dolce, vista la tensione che regna nel locale. Esco in fretta facendo gli scongiuri, salvo e non avvelenato.

Una voce dolce di Bucarest
Il secondo giorno mangio in albergo. Sempre come a casa, solo che questa volta sembra che abbia cucinato mio padre. Verso sera, con la pancia che brontola, prendo coraggio e mi dirigo al ristorante.

La padrona è all’ingresso. Nel locale ci sono un motociclista dallo sguardo ostile, con la moglie, e un altro italiano che sembra fuggito da casa, con i tre figli. La strega mi sorride, mi ha riconosciuto. Per un momento penso di sfidare la sorte e di dirle che voglio un minestrone. Solo che questa volta lo vorrei senza surplus di quella meravigliosa spezia chiamata sale, che pure il giorno prima avevo accettato con gratitudine.

La donna somiglia troppo a mia madre perché io mi azzardi a fare una simile richiesta, e quell’armadio di suo marito sembra totalmente teleguidato da lei. Si muove rapida come faceva la mamma. Mette al lavoro in tutta fretta il ragazzo biondo che si occupa del forno e in venti minuti tutti mangiamo. Questa volta la pizza è più grande. E sembra anche più buona, ammesso che sia possibile. Me ne vado sazio.

Il Giro d’Italia ogni anno passa da queste parti. Esattamente dove mi trovo c’è l’arrivo di una tappa. Scende la sera sulle Dolomiti e il panorama è magnifico. Me ne sto fermo a osservare le montagne con gli occhi spalancati come un idiota. Un’auto mi passa accanto, suona il clacson e sento una voce dolce che mi rivolge parole gentili in un romeno di Bucarest: “Aho, stronzo, stai in mezzo alla strada! A mangiaspaghetti, vaffanculo!”.

Gli sono riconoscente perché non mi hanno messo sotto. Decido di diventare improvvisamente italiano e rispondo educatamente: “Grazie mille!”.

(Traduzione di Mihaela Topala)

Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano romeno Dilema Veche.

Valeriu Nicolae sarà al festival di Internazionale a Ferrara dal 30 settembre al 2 ottobre 2016.

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