15 marzo 2012 15:14

Possiamo leggere l’evoluzione della civiltà attraverso la storia delle metropoli. Da Babilonia e Roma alle megalopoli moderne, sono sempre state le concentrazioni di esseri umani che interagiscono tra loro a favorire l’innovazione e la creatività e a permettere di trovare soluzioni sempre più intelligenti per vivere meglio. Le città sono i luoghi dove decolla la crescita economica, maturano i movimenti politici, si formano le culture. Più le nostre città sono dinamiche, più è vivace la rete di rapporti – culturali, sociali, economici, politici – più l’economia prospera e la civiltà avanza.

Perciò le prossime elezioni del nuovo sindaco di Londra dovrebbero essere una questione importante per tutta la Gran Bretagna. Londra è la nostra megalopoli. È la capitale europea dell’economia della conoscenza, il centro dei nostri servizi finanziari e la culla della nostra creatività. È il luogo dove nascono quasi tutte le nuove imprese e una calamita per i giovani, la sede di grandi università e di aziende importanti. Se Londra funziona bene, anche il resto del paese va bene.

In questo senso i primi dibattiti tra l’ex sindaco laburista Ken Livingstone e Boris Johnson, primo cittadino in carica e conservatore, in vista del voto di maggio, sono stati deludenti. All’inizio della campagna elettorale Livingstone ha promesso che avrebbe abbassato il prezzo dei trasporti e aumentato i controlli di polizia. Johnson si è limitato a rispondere che Livingstone fa solo promesse e spende troppo. Entrambi possono contare sui voti dei loro fedelissimi, ma per Londra e per il paese sarebbe meglio se discutessero di altro. Cos’è che fa grande Londra e cosa potrebbe farla ancora più grande? Molti intellettuali stanno cominciando a riflettere sulle città come motori di crescita e benessere: una città vivace produce una civiltà vivace.

Edward Glaeser di Harvard, con il suo Triumph of the city e la collaborazione con la Banca mondiale, sta sviluppando una teoria su quale densità urbana possa innescare un alto livello di innovazione, la nascita di piccole imprese e un circolo virtuoso che si rifletta su tutti i settori dell’attività umana. Glaeser spiega che lo spazio urbano è sempre stato fondamentale perché favorisce al massimo le interazioni spontanee e aumenta le probabilità di incontri fortunati, che si tratti del partner ideale, di qualcuno disposto a finanziare una nuova idea o pronto a sperimentare un nuovo tipo di cibo o di abbigliamento.

Nell’economia della conoscenza di oggi, però, non conta più solo il numero di persone, ma la loro qualità. Glaeser ha messo in relazione il dinamismo delle città statunitensi con le dimensioni della loro forza lavoro specializzata. La Work foundation ha messo in relazione il dinamismo delle città britanniche con le dimensioni della loro economia della conoscenza, che ha tra i suoi indicatori chiave la percentuale di laureati. E sia Glaeser sia la Work foundation sono giunti alla stessa conclusione: ciò che fa grande Londra è il fatto di essere un agglomerato di persone eccezionali e molto diverse tra loro, motivo per cui è importante liberalizzare l’immigrazione. Londra è il centro di tutto: tecnologia dell’informazione, musica, moda, musei, che interagiscono tra loro producendo innovazione, crescita e consumi.

Ma tutto questo è in pericolo. Londra è diventata la casa dei super-ricchi perché la Gran Bretagna gli permette di viverci senza pagare le tasse su quello che guadagnano nel mondo, tranne un’insignificante tassa di residenza. Tutti sono d’accordo nel dire, e Johnson è uno dei primi, che per la città questa ricchezza è un bene. I ricchi spendono. Ma se non interagiscono con gli altri londinesi, sono essenzialmente dei parassiti. O peggio, se comprano sempre più immobili in una città dove non vivono, fanno salire il prezzo delle case e la svuotano.

La capacità di Londra di essere uno spazio urbano ad alta densità pieno di persone istruite e preparate diminuisce, perché queste persone non possono più permettersi di viverci. Johnson non lo capisce. È il paladino dei super-ricchi. Livingstone, anche se è un pessimo difensore della propria causa (quando invita a impiccare un banchiere al giorno ovviamente scherza, ma offre ai suoi nemici un’arma per attaccarlo), ha capito il ragionamento di Glaeser e tutto quello che implica. Significa far capire al governo nazionale che le sue scelte in materia di fisco e di politica dell’immigrazione danneggiano uno dei suoi beni più preziosi: il dinamismo della sua capitale.

Un modo per affrontare la sfida economica del futuro è riformularla in termini di sfida delle città. Se le nostre città crescono, crescerà anche l’economia. Dovremmo incoraggiare la densità, trovare il sistema per attirare le persone in spazi urbani piacevoli, assicurarci che le nostre città siano ben collegate tra loro. E il modo migliore per farlo è dare alle nostre città più autonomia amministrativa e fiscale. È l’ora della rinascita delle città: i nostri centri urbani hanno bisogno della massima autonomia e di sindaci in grado di sfruttare questa nuova libertà per trasformarle in luoghi che tutti possiamo amare.

*Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 940, 16 marzo 2012*

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